Non le costosissime carceri deserte in Albania, né le scazzottate tra Lega e Forza Italia sul canone che non deve disturbare la famiglia Berlusconi, né la lista della spesa dei nuovi reati: se c’è un’immagine che fotografa il Paese impantanato, sono le pensioni minime, appiglio vitale di un’Italia sempre più vecchia e con sempre meno servizi sanitari pubblici. Qualche settimana fa, nella bozza della legge finanziaria, si parlava di un aumento di tre euro, portando le pensioni minime a 617,77 euro, una cifra per mettere insieme il pranzo con la cena, trascinandosi come peso in un Paese in cui figli e genitori diventano welfare gli uni per gli altri in mancanza di protezione e cura dello Stato. Poi qualcuno deve aver pensato che tre euro fossero troppi e quindi, da gennaio, l’aumento sarà di 1,80 euro al mese. Sono trecento grammi di pane in più da dividere in un mese, 10 grammi al giorno.
È il tozzo di pane non figurato. Forza Italia (ma non solo), da anni, a ogni tornata elettorale, promette pensioni minime da mille euro per tutti, secondo il verbo che fu di Silvio Berlusconi. Ai tempi d’oro, c’era anche la promessa di una dentiera gratis per tutti “i nostri nonni”, come li chiamava Silvio. Con l’aumento delle pensioni minime, i nonni dovranno vivere almeno altri 25 anni per comprarsene una. I giovani traditi dal mercato del lavoro con salari bloccati, gli anziani in fila per il loro tozzo di pane, il ceto medio stangato dall’aumento delle tasse. Non ci vuole troppa fantasia per comprendere a chi giova la legge di bilancio, basta escludere le categorie punite. Niente nonni, dunque, nella famiglia tradizionale che si vuole preservare. Né nipoti, né cittadini medi. E, se finirà il pane, qualcuno dirà di distribuire le brioche.