Per Attilio Fontana i 5,3 milioni di euro depositati su un conto a Lugano sono l’eredità lasciata in dote dai propri genitori. Per i pm il sospetto è che dietro di essi si celi una storia ancora tutta da scoprire. Un dilemma che ieri ha spinto la Procura di Milano, guidata dal procuratore Francesco Greco, a iscrivere nel registro degli indagati il presidente leghista della Lombardia. Con l’accusa di autoriciclaggio e falsa dichiarazione in voluntary disclosure.
Avviso di garanzia per i soldi alle Bahamas: così Fontana discredita i lombardi
Gli stessi pubblici ministeri hanno anche inviato una rogatoria in Svizzera per “completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure del 2016” presentata “dall’avvocato Attilio Fontana” al fine di “approfondire alcuni movimenti finanziari”. Il sospetto dei pubblici ministeri Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, è che parte di quella cifra sia frutto di un’evasione fiscale anche se, qualora fosse confermata tale tesi, probabilmente sarebbe già prescritta.
Si tratta dell’ultimo sviluppo emerso quasi casualmente dall’inchiesta sul camicigate. Ossia la fornitura da mezzo milione di euro affidata a Dama spa, società di Andrea Dini. Che altri non è che il cognato del governatore, di 75mila camici e di altri dispositivi di protezione individuale. Un caso per il quale sia Fontana che Dini sono indagati per frode in pubbliche forniture. E che era stato portato alla luce da un’inchiesta della trasmissione televisiva di Rai 3 Report.
Tra inchieste e disastri il flop del modello lombardo
Con l’esplosione del caso e le inevitabili polemiche, per giunta nel pieno della prima ondata del coronavirus che stava travolgendo la Lombardia, l’operazione di acquisto dei preziosi camici veniva trasformata, in corso d’opera, in una donazione. Un tentativo apparso sin da subito maldestro. Con cui, probabilmente, il presidente leghista della Regione Lombardia sperava di mettere fine alle polemiche che, in quel momento, erano esclusivamente politiche.
Ma invece chiudersi, il caso è deflagrato ulteriormente. Perché sul tavolo dei magistrati è arrivata la notizia che dal conto elvetico di Fontana sarebbe dovuto partire un bonifico di 250mila euro, poi bloccato in quanto operazione sospetta dall’Unità di Informazione della Banca d’Italia, a titolo di risarcimento al cognato per il mancato profitto derivato dalla trasformazione della fornitura in donazione.
I soldi di Attilio
Così l’attenzione si è inevitabilmente concentrata su quei soldi. Che Fontana, con poco successo, ha provato a giustificare spiegando che erano depositati su conti fermi da decenni. A non credergli, infatti, è stata anche l’Agenzia delle Entrate che ha tracciato diversi movimenti in entrata e uscita, prima dell’adesione alla voluntary disclosure. Ad esempio dagli accertamenti è emerso che prima del 2015, sul conto arrivano 600 mila euro circa. Nel 2013 il conto totale ammonta a 4,7 milioni, due anni dopo Fontana ne dichiara 5,3. Movimentazioni che per la procura non possono spiegarsi semplicemente con l’eredità materna.
Dopo la notizia delle accuse nei confronti di Fontana, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, legali del governatore, hanno diramato una nota stampa con la loro versione dei fatti. “Il comunicato della Procura della Repubblica dà conto della volontà del presidente Fontana di non lasciare ombra alcuna in ordine alla procedura della Voluntary, su cui i magistrati intendono fare chiarezza definitiva”.