Attilio Fontana, governatore della Lombardia, è indagato per autoriciclaggio per la storia del suo conto in Svizzera. Il presidente del Pirellone risulta iscritto anche per false dichiarazioni nella voluntary disclosure. Si parla dell’indagine relativa ai 5,3 milioni di euro depositati su un conto svizzero. A suo dire i soldi erano frutto di una eredità della madre dentista. Sul conto è stata avviata una rogatoria.
Attilio Fontana indagato per autoriciclaggio per il suo conto in Svizzera
La vicenda del conto in Svizzera di Attilio Fontana era diventata pubblica nel caso dei camici prima venduti e poi donati a Regione Lombardia da Dama Spa, società di sua moglie e di suo cognato. La Procura di Milano ha inviato oggi una richiesta di rogatoria in Svizzera in relazione al suo conto “scudato” sul quale giace l’eredità di 5,3 milioni avuta dalla madre. Proprio da quel conto proverrebbero i 250mila euro che Fontana avrebbe offerto al cognato Andrea Dini per ‘riparare’ la mancata vendita dei camici alla Regione all’inizio della pandemia. Denaro dichiarato proprio grazie alla voluntary disclosure ma di cui i pm milanesi vogliono ricostruire la provenienza.
Con la richiesta di assistenza giudiziaria alle autorità elvetiche i pm Furno-Scalas-Filippini, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, puntano ad avere ulteriori chiarimenti sulla documentazione del conto bancario da 5,3 milioni di euro. Fontana lo aveva ereditato dalla madre e regolarizzato con la voluntary disclosure nel 2015. È dal conto svizzero di Attilio Fontana che partì il bonifico da 250mila euro, poi bloccato dall’Unione Fiduciaria in base alle norme anti riciclaggio, con cui il governatore lombardo avrebbe cercato di compensare la Dama spa. La società di cui la moglie detiene il 10 per cento delle quote rischiava un mancato profitto o la perdita dei costi di produzione sostenuti dall’azienda. Venuti meno a causa della trasformazione dell’ordine d’acquisto dei 75 mila camici e 7 mila sanitari in donazione benefica.
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Il conto in Svizzera di Fontana
L’accredito da 250mila euro che ha portato all’indagine per autoriciclaggio era un tentativo di chiudere senza far subire perdite al cognato e alla moglie l’affare da 513mila euro per 82mila camici. La Dama Spa lo aveva fatto con Aria, la società che si occupa tra l’altro degli acquisti di materiale sanitario in Lombardia. Il conto è domiciliato nella banca UBS ed è stato dichiarato allo Stato nel 2015 tramite la voluntary disclosure. I soldi provenivano da un trust che si trovava alle Bahamas costituito tra il 1997 e il 2005.
L’indagine sul ‘Caso camici’ ha avuto un’accelerata negli ultimi giorni, dopo che si è presentato a parlare l’altroieri l’ormai ex presidente di Aria, Francesco Ferri. Il quale è stato costretto a dimettersi dallo stesso governatore dopo il caos vaccini che si recentemente generato in regione. Ora però gli inquirenti vogliono vederci chiaro proprio sulle movimentazioni finanziarie del presidente. Che è assistito dai legali Jacopo Pensa e Federico Papa, i quali stamattina hanno avuto un incontro con il procuratore capo Francesco Greco. Per il momento sono indagati Andrea Dini e l’ex dg di Aria, Filippo Bongiovanni. Con le accuse di turbata libertà nella scelta del contraente e frode nelle pubbliche forniture. Su Fontana invece pende la sola accusa di frode.