Assad chiama e Putin risponde: pioggia di bombe russe in Siria sui ribelli islamici

Assad chiama e Putin risponde: pioggia di bombe russe sui ribelli islamici in Siria. Ma la marcia dei jihadisti non si arresta

Assad chiama e Putin risponde: pioggia di bombe russe in Siria sui ribelli islamici

Da un lato, l’avanzata dei ribelli jihadisti in Siria perde vigore; dall’altro, crescono i timori per un’escalation del conflitto che vede sempre più coinvolti gli alleati del dittatore Bashar al-Assad, ossia la Russia di Vladimir Putin e l’Iran di Ali Khamenei. Sono ore di apprensione nel Paese mediorientale dove, complice la turbolenta situazione in tutta la regione, si è riaccesa la miccia della guerra civile. Dopo un’avanzata lampo che ha portato i gruppi armati, guidati dall’organizzazione terroristica Hayat Tahrir Al Sham, a conquistare Aleppo, l’offensiva islamista verso Hama, Idlib e Damasco sembra aver perso slancio.

La causa sarebbe da attribuire ai continui bombardamenti dell’aviazione dell’esercito regolare siriano, supportata da quella russa, e all’intervento delle milizie filo-iraniane provenienti dal vicino Iraq. Proprio questa alleanza, secondo quanto dichiarato dal governo siriano di Assad, ha permesso di bloccare l’avanzata delle fazioni armate nella zona di Hama. Operazioni congiunte di Siria, Russia e Iran, con “un attacco su vasta scala”, starebbero inoltre consentendo di riconquistare aree perdute nei giorni precedenti, in particolare nei dintorni di Aleppo. Le forze lealiste di Assad si starebbero spingendo anche verso la città di Safira, situata 25 chilometri a sud-est di Aleppo e considerata la porta d’accesso alla città.

Assad chiama e Putin risponde: pioggia di bombe russe in Siria sui ribelli islamici

A raccontare la situazione è Rami Abdel Rahman, capo dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, che riferisce di “violenti scontri” intorno a Hama e segnala anche alcuni raid lanciati dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti contro postazioni di miliziani filo-iraniani nella zona di Deir Ezzor, nella Siria orientale. I combattimenti, sempre più intensi, stanno aggravando la situazione umanitaria. Secondo l’Unicef, “i bambini stanno affrontando una delle emergenze umanitarie più complesse al mondo, aggravata da sfollamenti ripetuti, crisi economica, epidemie e calamità naturali”.

Edouard Beigbeder, direttore regionale Mena dell’Unicef, sottolinea che “come sempre, sono i bambini a sopportare il peso maggiore del conflitto”. Ha inoltre spiegato che “dal 27 novembre, più di 48.500 persone sono state sfollate, principalmente donne e bambini. La maggior parte di loro è stata sradicata più volte a causa di crisi precedenti”. L’Unicef chiede quindi “a tutte le parti di cessare immediatamente le ostilità” e di “rispettare il diritto internazionale”.

Fronte caldo

Mentre la crisi siriana peggiora, con il rischio di un’escalation sempre più concreto, cresce la preoccupazione anche in Libano, dove la tregua appare sempre più fragile. L’aviazione israeliana, secondo quanto comunicato dall’Idf e ripreso dal quotidiano Haaretz, ha ripreso intensi bombardamenti su obiettivi legati a Hezbollah. Decine di lanciatori di razzi e infrastrutture sono stati distrutti. L’azione, secondo Tel Aviv, è stata una risposta a due colpi di mortaio sparati dai miliziani libanesi contro Israele, in violazione della tregua.

Di tutt’altra opinione Hezbollah, che accusa il governo Netanyahu di aver ripetutamente violato gli accordi, provocando una reazione “di avvertimento” da parte dei suoi miliziani. Che la tregua stia vacillando è evidente anche dalle pressioni dell’amministrazione uscente di Joe Biden, che da giorni invita Israele a limitare le operazioni in Libano, con la chiara richiesta di astenersi dal colpire Beirut. Parole a cui ha risposto indirettamente il ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, affermando che “se il cessate il fuoco dovesse fallire, non ci sarà più un’esenzione per lo Stato del Libano. Applicheremo l’accordo con la massima risposta e tolleranza zero. Se fino ad ora abbiamo separato il Libano e Hezbollah, non sarà più così”.

A Gaza torna ad alzarsi la tensione

Un’altra grande preoccupazione è rappresentata dalla Striscia di Gaza, dove, secondo quanto riportato dal New York Times, l’esercito israeliano starebbe espandendo la rete di basi militari nell’area per creare una “zona cuscinetto”. La Striscia, teatro di continui combattimenti, appare sempre più lontana dalla pace.

A suggerire un possibile peggioramento della situazione è stato il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, che con un post su Truth Social ha dichiarato: “Tutti parlano degli ostaggi trattenuti in modo così violento, disumano e contro la volontà del mondo intero, ma sono solo parole e nessuna azione! Se gli ostaggi non saranno rilasciati prima del 20 gennaio 2025, data in cui assumerò con orgoglio la carica di presidente degli Stati Uniti, ci sarà l’inferno in Medio Oriente per coloro che hanno perpetrato queste atrocità contro l’umanità”.