Ora giudici, diteci se è mafia o no. Mancano poche ore alla sentenza d’appello sul “mondo di mezzo” e la posta in palio per la città eterna non è mai stata tanto grande. Da un lato la Procura, in cerca di riscatto dopo la batosta ottenuta in primo grado quando i giudici hanno fatto cadere l’aggravante mafiosa, dall’altro gli avvocati e gli imputati che sperano in uno sconto di pena per un’inchiesta definita mediatica e che per loro è costata condanne choc. Uno scontro tra titani che non potrà che avere al centro del dibattere, come già successo nel luglio del 2017, l’eventuale mafiosità dell’organizzazione criminale capeggiata dal cecato, Massimo Carminati e dal suo fedelissimo Salvatore Buzzi. Da sempre l’intero processo ruota intorno a questo perno nel tentativo di rispondere alla domanda se il mondo di mezzo, territorio di Carminati e dei suoi sodali, collegava quello di sotto, popolato dalla malavita, con quello di sopra, composto da imprenditoria e politica, attraverso semplice mazzette o se dietro vi fosse qualcosa di molto più grande e losco. Dopo un estenuante processo di primo grado, concluso il 20 luglio del 2017, il collegio giudicante ha riconosciuto l’esistenza di un fenomeno corruttivo di proporzioni nuove ed inimmaginabili, un malaffare diffuso a macchia d’olio e capace di incancrenire l’intera città che solo il Procuratore Capo Giuseppe Pignatone era stato capace di svelare. Ma i giudici non hanno riconosciuto l’aggravante mafiosa nonostante il ricorso sistematico alle mazzette, con cui ammorbidire la politica, in quanto non era stato provato alcun caso di esercizio della forza di intimidazione. Aspetto, questo, tipico delle mafie tradizionali e presente come requisito per l’applicabilità dell’articolo 416bis che disciplina tale fattispecie di reato.
Primo grado – La sentenza del secolo così scontentava tutti: la Procura per la decisione di far cadere il perno su cui si era fondata l’intera inchiesta, gli avvocati per le pesantissime condanne nei confronti di 41 imputati e per complessivi 287 anni di reclusione, a fronte dei 515 chiesti dai pm. Inevitabile un nuovo duello tra le parti, decise a darsi battaglia ancora una volta e senza esclusione di colpi. E proprio così è stato, come si evince dalle richieste di condanna del pg per complessivi 430 anni di reclusione a carico di 43 imputati.
Secondo round – Una sentenza già scritta? Nient’affatto. Oggi la palla torna nelle mani dei giudici che scriveranno la parola fine sulla vicenda. Saranno loro a dirci se ha avuto ragione la Procura ad insistere sulla mafiosità di Carminati e soci, convinta anche dalle pesanti pene inflitte in primo grado specie se considerate nell’ottica di un normale seppur diffuso contesto corruttivo, o gli avvocati che vogliono e chiedono assoluzioni e sconti di pena. Ma alla fine dei giochi se anche questa volta il verdetto sarà contrario ai magistrati di piazzale Clodio, il risultato non potrà essere ridotto a alla macchietta che gli imputati, nel corso delle loro audizioni e in tutti i modi possibili, hanno tentato di raccontare.