di Martino Villosio
Nel 2008 era stato arrestato dopo un controllo stradale a Monte Romano, in provincia di Viterbo. Uno spinello confezionato e mezzo consumato trovato sulla sua auto, la reazione nei confronti dei carabinieri, una doppia accusa: resistenza a pubblico ufficiale e detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Dalla seconda, Marco Marinsaldi era stato assolto. Gli atti mandati alla Prefettura, perché provvedesse ad applicare le semplici sanzioni amministrative e le misure di prevenzione previste per chi viene trovato in possesso di droghe alla guida di autovettura. Per quattro anni non se ne è saputo più nulla. Marco nel frattempo ha rimesso insieme con fatica i cocci di una vita difficile, cominciata in un quartiere della periferia romana, ripresa per i capelli grazie all’impiego presso una cooperativa. Turni massacranti come addetto alla sicurezza per feste private, discoteche e sale Bingo di Roma e provincia, qualche soldo risparmiato per aiutare la figlia e l’ex moglie. Fino a quando, due mesi or sono, la giustizia italiana è arrivata a bussare implacabilmente alla sua porta. Con un ritardo di “soli” cinque anni, che adesso rischia di distruggere definitivamente ogni suo progetto di reinserimento sociale.
Misure preventive ma in ritardo
La questura di Roma ha infatti deciso di applicare solo oggi nei confronti di Marinsaldi le misure preventive per la detenzione di sostanze stupefacenti contestate nel 2008: dal divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore per i prossimi quattro anni all’obbligo di rientrare nella propria abitazione entro le 21 e di non uscirne prima delle 6 per un periodo di sei mesi, passando per il divieto di allontanarsi dal Comune di residenza. Una severità tardiva che per Antonio Barbieri, avvocato di Marco, non trova spiegazioni. “Quelle misure, proprio perché preventive, potevano avere un senso quattro anni fa”, dice a La Notizia. “Oggi la finalità cautelare non c’è”.
Lui, Marinsaldi, è preoccupato di perdere il posto: “Visto il mio impiego, per me è impossibile muovermi con i mezzi e soprattutto restare in casa negli orari notturni. Per quattro anni ho gestito la sicurezza in discoteche e locali, apprezzato da tutti i datori di lavoro, adesso scoprono che potrei essere pericoloso”.
Per questo ha subito presentato un’istanza di revoca delle misure al Giudice di Pace di Roma, allegando una dichiarazione della società cooperativa presso cui lavora che dimostra come, a causa delle limitazioni imposte, non stia più percependo lo stipendio. Un’urgenza che, manco a dirlo, cozza drammaticamente con il passo felpato della giustizia italiana. “A distanza di due mesi e mezzo” spiega l’avvocato Barbieri “quell’istanza è ancora ferma sulla scrivania del giudice”.