E’ stato arrestato oggi a Londra, su mandato del gip del tribunale di Roma, il broker Gianluigi Torzi indagato per autoriciclaggio ed emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti. Il giudice inglese ha convalidato l’arresto ed ha fissato una udienza per il prossimo 18 maggio quando valuterà la richiesta si scarcerazione su cauzione per Torzi.
L’indagine della magistratura italiana che vede coinvolto Torzi è coordinata dal sostituto Maria Teresa Gerace. Il broker finanziario, come è noto, era stato già coinvolto nella vicenda della compravendita dell’immobile al n. 60 di Sloane Avenue a Londra, per la quale è sotto inchiesta da parte dell’Autorità Giudiziaria Vaticana, che gli ha contestato un illecito profitto pari a 15 milioni di euro (leggi l’articolo).
Sulla base delle indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, scattate dopo la richiesta di assistenza giudiziaria del Promotore di Giustizia Vaticano, la procura di Roma ha ricostruito come una parte dei 15 milioni (che secondo gli inquirenti della Santa Sede sarebbero frutto dell’estorsione di Torzi alla Segreteria di Stato) sia stata bonificata a due società inglesi a lui riconducibili e impiegata per l’acquisto di azioni di società quotate in borsa.
Dopo pochi mesi l’operazione, sempre secondo quanto ha accertato la Finanza, avrebbe consentito a Torzi di ottenere un guadagno di 750.000 euro, su un investimento di 4,5 milioni di euro, e di ripianare un debito di 670.000 euro di altre due aziende a lui riferibili. Dalle indagini è emerso anche un giro di false fatturazioni – non collegato all’operazione immobiliare londinese – che sarebbe stato realizzato da Torzi insieme ad altri indagati senza alcuna giustificazione commerciale e al solo scopo di frodare il fisco.
Il broker molisano Torzi era stato già arrestato nel giugno scorso in Vaticano (leggi l’articolo) al termine di un lungo interrogatorio condotto dai giudici della Santa sede, segnando una svolta importante nella lunga e complessa inchiesta condotta dalla magistratura vaticana e portata avanti dal Corpo della Gendarmeria, un procedimento che vede indagati cinque persone che lavoravano in Segreteria di Stato (due prelati e tre laici), più un dirigente dell’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF).