Il ministro della Difesa Roberta Pinotti è chiara: l’Italia è pronta a “valutare un contributo”, cioè a mandare uomini, a Raqqa, quando la capitale del Califfato cadrà e se le condizioni politiche lo permetteranno. Questo è quanto detto dal ministro Pinotti in un’intervista a La Stampa e quanto detto soprattutto martedì nel corso del primo bilaterale con il segretario alla difesa Usa James Mattis, cui ha inoltre dato disponibilità a “rimodulare” le missioni militari all’estero, senza cambiarne i numeri ma aumentando la quota degli addestratori in Afghanistan e soprattutto in Iraq.
Bisogna ricordare che qui i 500 militari che presidiano la diga di Mosul alla fine dei lavori di ristrutturazione, che dovrebbero concludersi tra alcuni mesi, potrebbero essere dunque “ricollocati” andando ad addestrare le forze armate irachene e curde. Pinotti in cambio ha fatto una richiesta: un ulteriore potenziamento del comando Nato di Napoli dopo che è stata accolta la proposta italiana di trasformarlo in hub per il sud. Istanza verso cui il capo del Pentagono è stato “aperto e disponibile”.
In Siria, ricorda Pinotti sempre nell’intervista a La Stampa, “il mandato Onu di sconfiggere il terrorismo esiste, ma la situazione politica è confusa, non tutti considerano il governo legittimo, e l’autorità locale non è riconosciuta”. Di conseguenza “per allargare la nostra azione bisognerà vedere se si chiarisce la questione politica in Siria, quali truppe addestrare, e su che base”. Servirà “una chiarificazione delle condizioni, le forze in campo e il percorso politico”.
Per quanto riguarda la Libia, il ministro dopo il bilaterale ha riferito che “gli Usa condividono l’obiettivo dell’Italia, ossia che bisogna stabilizzare e trovare un governo inclusivo della Libia in cui tutti si possano riconoscere e da questo punto di vista il messaggio americano è che tengono molto in conto la nostra opinione per capire quali possano essere i loro interventi di sostegno”. E ciò perché “c’è consapevolezza da parte di Mattis, ribadita anche da Tillerson e un po’ da tutti gli attori, che l’Italia è il Paese che ha maggiori conoscenza sul campo della situazione libica”.