Dalle parti del Partito democratico fanno sempre così: quando tengono una posizione che scontenta o addirittura contraddice una parte dei suoi elettori usano il richiamo alla “responsabilità di governo” o ripetono che “ce lo chiede l’Europa” per provare a smorzare il dibattito. Così è passato quasi inosservato (o addirittura è stato considerato come “prevedibile”) che un partito nato dalle ceneri dei più importanti esponenti del pacifismo abbia subito indossato l’elmetto, senza nemmeno l’ombra di un dibattito interno, e si sia arruolato nella fazione di chi ingordo non vede l’ora di spedire armi italiane in Ucraina e di aumentare le spese militari per non immalinconire la Nato.
Armi italiane in Ucraina: la svolta guerrafondaia del Pd
Qualcuno dei suoi ogni tanto, timidamente, prova ad aprire un ragionamento ma dalle parti di Enrico Letta negli ultimi mesi qualsiasi divergenza interna è vissuta come un intoppo di cui scrollarsi per procedere spediti. Verso dove, poi, prima o poi ci sarà dato di capire.
Solo che dalle parti dell’Anpi non hanno perso il nerbo delle origini e in occasione del 17esimo Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani il presidente Pagliarulo non le manda a dire e dal palco scandisce e ripete che “la condanna dell’invasione è irrevocabile ma dobbiamo cercare di capire il contesto e le cause che hanno prodotto la situazione attuale”.
Sull’invio di armi in Ucraina il presidente ha le idee chiare: “L’invio di armi – spiega – da parte di Paesi non belligeranti a un Paese belligerante, ancorché per difendersi giustamente da un’invasione, può essere interpretato dal Paese invasore come un atto di co-belligeranza e comunque alza ulteriormente il livello della tensione internazionale. Ecco la ragione della nostra critica a una scelta che abbiamo giudicato pericolosa”.
Anche sulle spese militari la posizione è netta: “Il riarmo ci porta al disastro”, dicono. Per questo fa piuttosto sorridere sentire Letta che, di fronte a un’evidente contestazione delle posizioni politiche prese dal suo partito, risponde abbozzando che il suo Pd e Anpi “saranno sempre dalla stessa parte del campo”.
“È il campo della Costituzione, della democrazia, dei principi dell’antifascismo”, ha spiegato Letta. Fingere di non capire per non sentirsi in dovere di rispondere non è una tattica furba e non funziona a lungo. E infatti Letta, a margine del suo intervento, spiega che su armi e guerra Anpi e Pd discuteranno e troveranno soluzioni.
Il Pd rompe l’ennesimo patto
Soluzioni che per adesso non ci sono. Una cosa è certa: sulla guerra in Ucraina il Partito democratico ha consumato l’ennesimo patto prima con la Cgil, non partecipando alla manifestazione per la pace convocata dal sindacato e non lesinando critiche da parte dei suoi esponenti più agguerriti, e ora con l’Anpi.
All’interno però sono molti gli iscritti che lamentano un militarismo pancia a terra che non è stato discusso e che sembra impossibile contestare pubblicamente. L’europarlamentare Pierfrancesco Majorino ha alzato la voce sulle spese militari (“il 2 per cento di Pil per spese militari è solo un regalo all’industria degli armamenti. Letta ci ripensi”, ha dichiarato in un’intervista a Repubblica) ma la fronda pacifista interna non sembra avere avuto molta fortuna sui giornali e nei comunicati stampa. I mal di pancia, come spesso accade, sono sottaciuti per “il bene del partito”.
Ma quanto sia un bene perdere per strada i sindacati, i lavoratori e i partigiani prima o poi ce lo dovranno spiegare. Anche perché l’identità si costruisce in decenni ma si disperde in un attimo. Renzi docet.