Sono trascorsi oltre settanta anni dalla conclusione della seconda guerra mondiale e altrettanti dalla caduta del regime fascista. L’Italia si trova però ancora a fare i conti con una velenosa eredità lasciata da Benito Mussolini: le armi chimiche. Un fardello irrobustito anche dagli alleati prima di lasciare il Paese. Munizioni tossiche sono spuntate fuori come funghi nel corso degli anni nei luoghi più disparati. In alcuni casi continuando a uccidere. E non bastano i tre milioni e mezzo di euro che ogni anno lo Stato investe per distruggere quelle sostanze a cancellarne definitivamente ogni traccia.
Il centro militare dove vengono distrutte, quello di Civitavecchia, deve essere ampliato e se non si fa in fretta difficilmente si potrà rispettare la scadenza fissata dalla comunità internazionale al 2023 per dire finalmente addio a quelle armi mostruose. Una vicenda condensata in una relazione presentata alla Camera dal ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi.
PIAGA NASCOSTA. In base a recenti stime e a documenti d’archivio inglesi riservati, tra il 1935 e il 1945 l’Italia avrebbe prodotto una media di 12.500-23.500 tonnellate l’anno di armi chimiche e nel 1941 le forze armate sarebbero state in possesso di ben 111mila tonnellate di sostanze chimiche aggressive. Senza contare che tali armi vennero introdotte sul suolo nazionale anche dagli alleati, che prima di smobilitare se ne sarebbero sbarazzati, gettandone enormi quantitativi in mare, in particolare al largo di Ischia e Manfredonia.
Un cimitero di veleni su cui per decenni è calato un assordante silenzio. Poi, finita la guerra fredda e dopo la sigla della Convenzione di Parigi nel 1993, che ha messo al bando simili arsenali, qualcosa è cambiato e le armi prelevate dai depositi e quelle pian piano scoperte in vari angoli del territorio sono state portate nel Centro Tecnologistico Interforze NBC di Civitavecchia, per essere distrutte.
LE DIFFICOLTA’. Facile a dirsi ma non a farsi. L’Italia sinora ha eliminato oltre 40mila munizioni tossiche, 140 tonnellate d’iprite, la terribile sostanza che divora la pelle, 1140 tonnellate di adamsite e 221 barili di fumogeni. L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, a cui l’Italia ogni anno contribuisce con 2,4 milioni di euro, aveva fissato al 2012 il termine massimo per ultimare la distruzione delle armi chimiche presenti nei diversi Stati. Ma non è stato possibile e ora la scadenza è al 2023.
Il ministro degli esteri, nella relazione sullo stato di esecuzione della Convenzione di Parigi presentata alla Camera, ha però evidenziato che alla fine del 2018 nei magazzini c’erano ancora 12.600 di quei congegni mortali da disinnescare e che a frenare le operazioni c’è il problema che il centro di Civitavecchia va adeguato. Lavori per cui è stata ultimata la progettazione preliminare. L’investimento di 1,2 milioni di euro l’anno, a cui aggiungendo il contributo all’Opac portano a tre milioni e mezzo, non sono bastati per fare definitivamente i conti con la peggiore storia.