E’ caro a Giuseppe Conte perché Invitalia potrebbe risolvergli le grane dell’Ilva e dell’Alitalia. è ancora più gradito perché il Mediocredito centrale, controllato da Invitalia, potrebbe essere la mano santa per la Popolare di Bari. è graditissimo infine per via del Cis Capitanata, il piano di interventi per “valorizzare le eccellenze culturali, naturalistiche, artigianali e produttive” del Foggiano, in cui Invitalia è centrale di committenza (grazie al decreto firmato dallo stesso Conte nel febbraio 2019) e che, su una spesa di quasi mezzo miliardo, prevede pure 5 milioncini per la “creazione di un sistema aperto per l’utilizzo del lago di Occhito ad uso turistico” in quel di Volturara Appula, paesello natìo del presidente del Consiglio. Ma basta, questo, a fare di Domenico Arcuri il miglior candidato possibile a commissario per l’emergenza Coronavirus?
VENTO IN POPPA. Calabrese, 57 anni, laureato in Economia alla Luiss, Ad di Invitalia dal lontano 2007, Arcuri è noto soprattutto come navigatore straordinario: designato dal governo Prodi, amico di Massimo D’Alema e dell’attuale ministro all’Economia Roberto Gualtieri, grande dispensatore di consulenze e sponsorizzazioni, preferibilmente al centro-sinistra, è sopravvissuto ai governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e poi ancora a Conte nella duplice versione, gialloverde e giallorosa. Scaduto ad agosto, è stato riconfermato a novembre a Invitalia e ora nominato da Conte commissario con straordinarie capacità di spesa, “ampi poteri di deroga”, “il potere di impiantare nuovi stabilimenti” e “sopperire alle carenze” riscontrate per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Non male per uno che nel 2012 è finito nel mirino della Commissione europea per gravi carenze e criticità nella gestione degli interventi finanziati dal Pon R&C (Piano operativo nazionale Ricerca & competitività) 2007-2013.
Un piano da oltre tre miliardi di euro, cofinanziati dal Fesr (il fondo europeo di sviluppo regionale) e destinati a favorire la capacità di “produrre e utilizzare ricerca e innovazione” in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Ai grandi gruppi industriali, come alle piccole e medie imprese, i soldi dovevano arrivare attraverso una lunga catena che partiva dal ministero per lo Sviluppo economico e, attraverso la Dgiai (Direzione generale attività produttive), arrivava ad Invitalia, incaricata dell’assistenza tecnica al non modico costo di 45 milioni. Risultati? Al 31 dicembre 2011, dopo 5 anni, risultavano erogati solo 652 milioni sui 3 miliardi previsti. Troppo pochi, secondo Bruxelles.
Così Walter Deffaa, direttore generale della politica regionale della Commissione, aveva avviato la procedura di sospensione dei pagamenti. “E’ l’ultimo passo prima della procedura di rettifica totale (definanziamento, sottrazione delle risorse all’Italia e attribuzione ad altri paesi Ue)” denunciava un’interrogazione dell’epoca, del deputato Pd Ludovico Vico, riportando le infinite doglianze Ue sulla gestione Invitalia: “Carenze rispetto ai controlli di primo livello”, “gravi ritardi nelle procedure di selezione”, “tempi troppo lunghi per la valutazione dei progetti”, criteri troppo generici, “gravi ritardi nella conduzione delle verifiche in loco”, “mancata decertificazione degli importi risultati irregolari”… Ce n’era anche per il fondo di garanzia gestito dal Mediocredito centrale: “Audit negativo sulle modalità di costituzione”.
Insomma, bocciatura totale. Ma nel silenzio generale: aspramente rampognato dal partito per aver sollevato la questione, Vico non ha mai avuto risposta alla sua interrogazione. E Invitalia ha continuato a essere, nella “criticabile gestione” di Arcuri, “uno degli ultimi carrozzoni della vecchia Repubblica da smantellare” ribadiva nel novembre 2018 il senatore M5S Elio Lannutti. Naturalmente non l’ha smantellata nessuno. Quanto ad Arcuri, oltre a convincere gli investitori esteri a scommettere sull’Italia ora deve anche salvarla dal Coronavirus. Auguri.