“Sarebbe la battaglia legale del secolo”, ha paventato qualche giorno fa il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. “Saremo durissimi”, ha avvertito il premier Giuseppe Conte. E, a oggi, sull’ex Ilva tra Governo e ArcelorMittal l’opzione della causa del secolo non si esclude. Il gruppo franco-indiano ha messo nero su bianco la sequenza temporale delle fasi di fermata degli impianti, avvisando che le operazioni tecniche necessarie alla sospensione potrebbero comportare “emissioni visibili”. E ha confermato che entro il 4 dicembre sarà completata la retrocessione dei rami d’azienda. Il premier replica con una nota durissima: “Il governo non lascerà che si possa deliberatamente perseguire lo spegnimento degli altiforni”. ArcelorMittal “si sta assumendo una grandissima responsabilità” e “ne risponderà in sede giudiziaria sia per ciò che riguarda il risarcimento danni, sia per il procedimento d’urgenza”.
Conte benedice l’iniziativa della Procura di Milano che ieri è scesa in campo con una doppia mossa. Da una parte ha acceso un faro sui possibili risvolti penali della vicenda: il procuratore Francesco Greco informa che è stato aperto un fascicolo “modello 45” (senza indagati e senza ipotesi di reato) “per verificare l’eventuale sussistenza di reati”. Dall’altra ha deciso di intervenire in giudizio. La Procura di Milano “ravvisando un preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazioni, alle necessità economico-produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale”, ha deciso di entrare nella causa di rescissione del contratto di affitto promossa da ArcelorMittal. Nelle stesse ore i legali dei commissari straordinari dell’ex Ilva hanno depositato il ricorso d’urgenza in base all’articolo 700 del codice di procedura civile in cui chiedono al colosso dell’acciaio il rispetto degli accordi poiché non sussistono le condizioni per il recesso dal contratto.
Mentre Patuanelli denuncia che l’azienda ha vietato le ispezioni ai commissari. Ma ieri è stato anche il giorno dell’incontro al Mise tra l’azienda, rappresentata dall’ad Lucia Morselli e i sindacati. Un vertice che ha riportato sul tavolo il tema dello scudo penale. Il venir meno della protezione legale, soprattutto riguardo all’area a caldo dove si concentrano gli interventi ambientali, secondo Morselli, rende impraticabile eseguire il contratto. Lavorare in quell’area, avrebbe detto, “fino a qualche settimana fa non era un crimine ora lo è”. Oltre al fatto che per dissequestrare l’Afo2 erano stati imposti nuovi obblighi che, secondo l’ad, non sono stati ottemperati. E questo determinerebbe la chiusura dello stesso.
Patuanelli al termine del vertice sbotta: “L’azienda ha dichiarato che tutto è legato allo scudo. Questa cosa ci ha lasciato molto perplessi perché è dal 12 settembre che dice che ci sono 5mila esuberi necessari per un problema strutturale dell’impianto che non potrà produrre più di 4milioni di tonnellate. Credo che l’azienda debba mettersi d’accordo con sé stessa. Per noi il piano A, B e C è che Mittal rispetti l’impegno preso con il piano industriale per la produzione di 6 milioni di tonnellate e con la realizzazione del piano ambientale”. I sindacati chiedono il ripristino della tutela legale per sgombrare il campo da qualsiasi alibi. Il capo politico dei 5Stelle Luigi Di Maio ribadisce che lo scudo non c’entra nulla. Ma la questione è destinata a riproporsi soprattutto se si dovesse riaprire la trattativa con l’azienda.