Dopo la chiusura indagini del febbraio 2020, sembrava dimenticata in qualche cassetto l’inchiesta sugli appalti e subappalti delle casette realizzate per dare un tetto ai terremotati delle Marche. Nulla di più sbagliato perché con una mossa inattesa la Procura di Ancona, guidata dal procuratore Monica Garulli, ha chiesto il rinvio a giudizio dei 34 indagati, rispettivamente diciannove persone fisiche e 15 aziende, a cui vengono contestati i reati di abuso d’ufficio, truffa e falso. Tra i nomi di spicco dell’inchiesta c’è quello del capo della Protezione Civile delle Marche, David Piccinini (nella foto), all’epoca dei fatti “soggetto attuatore delle procedure”. Oltre a lui, nel mirino della Procura sono finiti dirigenti e funzionari tanto della Regione quanto dell’Erap, imprenditori e una fitta rete di imprese.
CONTESTAZIONI PESANTI. Nella lista delle persone indagate è stata stralciata solo una posizione, quella di un contitolare di una azienda di infissi, rispetto al 415 bis di febbraio 2020 con cui i pubblici ministeri hanno comunicato la chiusura dell’indagine agli indagati. Si tratta di un’indagine lunga e complessa, partita nel lontano 2017, con cui è stato messo in risalto dai magistrati un sistema di appalti a dir poco opaco. In particolare la Procura sostiene che nei lavori sono state impiegate ditte prive della certificazione antimafia, un impedimento bypassato con certificazioni rilasciate dagli uffici della Regione Marche che gli inquirenti ritengono false, e addirittura che tali imprese avrebbero effettuato lavori di scarsa qualità tanto che i moduli abitativi chiamati a risolvere l’emergenza, ben presto avevano iniziato a dare diversi problemi che ne rendevano difficoltoso perfino l’utilizzo. Così già nel 2018 l’inchiesta ha avuto un vero e proprio sprint con le prime iscrizioni nel registro degli indagati che poi, di settimana in settimana, sono cresciute arrivando, come noto, ad addirittura trentacinque posizioni attenzionate.
LE INDAGINI. Nel mirino della guardia di finanza erano finiti i dipendenti regionali che avevano seguito la procedura d’appalto fino all’assegnazione delle ditte incaricate di realizzare i moduli abitativi e, subito dopo, pure gli imprenditori che avrebbero ricevuto presunti favori nelle gare. Passano pochi mesi e sul caso interviene anche l’Autorità nazionale anticorruzione che, dopo un’attenta indagine, certifica la mancanza della certificazione antimafia in 11 aziende appaltatrici, nelle cui visure camerali figurerebbero solo i codici fiscali e i rapporti di alcune ditte operative nella costruzione delle casette con ambienti legati alla ‘ndrangheta. Dubbi sulla regolarità degli appalti e dei subappalti per la costruzione delle Sae che erano stati palesati anche da esponenti della Cgil di Macerata che, dopo aver collezionato diversi atti, fornirono alla Guardia di Finanza alcuni documenti che avrebbero attestato alcune pratiche sospette tra cui, l’utilizzo nei cantiere di operai romeni sottopagati e sfruttati.