Lui scherzando dice di essere conosciuto solo come “il social media manager di Taffo”, l’azienda di servizi funebri diventata celebre sui social grazie alla sua comunicazione dissacrante, ma Riccardo Pirrone è molte cose, tra cui il presidente dell’Associazione Nazionale Social Media Manager. Proprio in quella veste ieri è intervenuto sulla comunicazione del ministro alla Cultura Sangiuliano che annunciava le dimissioni del suo social media manager per il marchiano errore dei 2.500 anni di Napoli che sono diventati 2 secoli e mezzo.
Pirrone, è ancora arrabbiato con il ministro?
Come presidente dell’Ansmm registra che ogni volta che succede qualcosa dalle parti di un ministro o personaggi pubblici o vip o aziende la colpa finisce sempre sul social media manager che ha pubblicato. Ma quello che molte persone non sanno è che la pubblicazione del post è solo l’ultima azione di una serie di procedure che vengono fatte in concerto con altre persone. Mi auguro che un ministero abbia diversi livelli di approvazione quando vengono pubblicati post sul suo canale ufficiale. Ad esempio il social media manager non è un grafico e quindi ci sarà stato un grafico che ha creato la card, ci sarà un piano editoriale che decide cosa pubblicare, un autore, un copy. Solo alla fine il social media manager pubblica, modera i commenti.
Quindi non è andata come l’ha raccontata il ministro che ha parlato di un errore “evidentemente” del social media manager?
Io dubito che il social media manager abbia un’autonomia tale da pubblicare un post senza che nessuno lo approvi. Funziona così in tutte le aziende. Anzi, ci sono diversi livelli di controllo. Al ministero l’approvazione non può essere solo di una persona.
Quindi non è d’accordo con le dimissioni?
A prescindere da tutto l’errore che è stato fatto è una svista, non può avere come conseguenza un licenziamento o le dimissioni. Le motivazioni spero siano altre: mi sembra strano che si arrivi a tanto. Detto questo aggiungerei una domanda: come è stato selezionato il social media manager? Sicuramente è una persona affine al mondo di questa parte politica. Come è stato selezionato? È un professionista? Ha un curriculum con tutte le esperienze e le professionalità che servono? Dico questo perché spesso il social media manager non è considerato un professionista ma come uno che basta che pubblichi. Invece il social media manager studia comunicazione, fa corsi di aggiornamento, verifica le fonti. Se un social media manager ha questa expertise ok. Qual è stata la selezione?
Ora come Ansmm come vi muoverete?
Innanzitutto dobbiamo capire se è un professionista del social media management oppure no. Questo gioco delle parti danneggia il nostro lavoro in generale, questo io voglio difendere. Non voglio sindacare se quello è un bravo ministro oppure no ma la comunicazione che è stata fatta poteva risparmiarsela. Non ho mai visto pubblicare sui social le dimissioni di un dipendente. Non ha senso. Perché metterlo alla gogna?
Ricorda un po’ quelle vecchie storie del “mi hanno hackerato l’account”…
Prima dell’avvento dei social era colpa dello stagista. In realtà sono scuse che non reggono. Chi lavora in questo settore sa come funziona. Sicuramente tutte le istituzioni non hanno compreso il potere e la responsabilità dietro un account social, parlo anche di sindaci. Servono una serie di pratiche dettate dalla professionalità e dall’esperienza. Il problema è anche la generazione, sono persone mature e quindi non hanno tutti una dimestichezza veloce. Per questo il social media manager non può farlo il cugino o l’amico, ma persone che hanno studiato per questo.
Eppure abbiamo avuto social media manager ritenuti quasi “magici” come Morisi…
Non è cambiato nulla rispetto alla pubblicità tradizionale. Prima i pubblicitari erano nascosti dietro al brand, qualcuno usciva allo scoperto come Oliviero Toscani perché faceva cose avanguardistiche. La vera star nel mondo politico è il candidato, il partito, che ha le stesse regole di un brand, con loghi, comunicazione e strutture molto similari a quella di un’azienda. Solo che la comunicazione politica non dovrebbe fare profitto, al contrario dell’azienda.