Il riferimento resta implicito ma chiarissimo. Bergoglio, nell’Angelus di domenica parla del tragico caso di Fermo e della morte di Emmanuel, il nigeriano ucciso (“quel migrante che volevano cacciare via”, dice il Papa), un esempio concreto di razzismo che allontana il prossimo.
“Chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti, i miei amici, i miei connazionali, quelli della mia stessa religione?”, dice Papa Francesco, che non cita casi specifici ma si limita a enunciare la parabola del buon Samaritano.
“Non devo catalogare gli altri – ha detto Francesco – per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere il prossimo delle persone che hanno bisogno del mio aiuto. Fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in difficoltà”.
E ancora: “Fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento. Il baricentro non siamo noi stessi, ma gli altri”. Il buon Samaritano è l’unico che “ebbe compassione dell’uomo a terra, gli si avvicinò, gli fasciò le ferite e si prese cura di lui”. Il buon Samaritano quindi è colui che “ha avuto compassione”.
“Fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento: mi viene in mente quella canzone ‘parole, parole, parole’…”, ha continuato. “Fare e mediante le opere buone, che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto. Domandiamoci: la nostra fede è feconda? Produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Selezione le persone a secondo del mio proprio piacere”.