di Carmine Gazzanni
Che il mercato d’armi delle aziende italiane sia totalmente inadeguato, è ormai una certezza. I guadagni elevati che si fanno con bombe, caccia, missili e chi più ne ha più ne metta, è talmente alto che non c’è legge o morale che tenga. E così qualsiasi giustificazione che il Governo provi a dare per legittimare un mercato vergognoso, appare ipocrita. Come dire: la toppa è peggio del buco.
Facciamo un passo indietro per capire di cosa stiamo parlando. A fine ottobre, come denunciato anche dal nostro giornale, diverse tonnellate di bombe e munizionamento sono state imbarcate all’aeroporto di Cagliari Elmas su un cargo Boeing 747 della compagnia azera Silk Way con destinazione Arabia Saudita. Un rifornimento non da poco, se si considera che l’Arabia è uno di quei Paesi “border-line” nei rapporti con lo Stato Islamico e se si tiene a mente che da marzo 2015 l’Arabia sia impegnata in una guerra in Yemen. Un conflitto condannato dall’Onu i cui bombardamenti hanno finora causato più di 4 mila morti (di cui almeno 400 bambini) e 20 mila feriti – di cui circa la metà tra la popolazione civile – provocando una “catastrofe umanitaria” con oltre un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti. Imbarazzo e vergogna sarebbero, pertanto, le uniche due parole qualificabili per tale vicenda. E invece no: per le istituzioni italiane ce ne sono altre che giustificano tutto: soldi, guadagni, commercio, affari.
ANCORA ARMI. MA IL GOVERNO SA E TACE – E allora, dopo la prima spedizione, ne è seguita un’altra. A denunciarla il parlamentare sardo di “Unidos”, Mauro Pili: una nuova spedizione da Cagliari di componenti di bombe prodotte negli stabilimenti RWM Italia di Domusnovas con destinazione Arabia Saudita. Come denunciato anche da Francesco Vignarca della Rete per il Disarmo, si tratta della “terza consegna di ordigni militari del 2015, la seconda per via aerea che fa chiaramente intendere l’urgenza di approvvigionamento di materiale bellico da parte delle forze armate saudite”. Domanda: il Governo sa? Certo. Né qualcuno potrebbe fingere di non sapere. La sera prima della spedizione, infatti, Pili è intervenuto alla Camera sottolineando che “questo tipo di trasporto debba essere bloccato”. Una richiesta ovviamente messa ai voti. Ebbene, solo 103 parlamentari hanno votato a favore della mozione, mentre hanno votato contro il “blocco” 221 “onorevoli” (erano presenti in Aula 328 parlamentari). Tutto questo, nonostante la legge dica chiaramente che l’Italia non possa commerciare in armi con uno Stato che conduce una guerra non riconosciuta e che peraltro viola i diritti umani. Eppure il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, in un’intervista rilasciata a margine di un convegno ha specificato che è “tutto regolare”.
TRATTATI E LEGGI MAI APPLICATI – Sarà anche regolare, ma in un sistema dove la trasparenza è pari a zero. A dirlo, solo pochi giorni fa, Transparency International nel suo dossier (“Government Defence Anti-corruption Index”): “in oltre la metà dei Paesi del G20 – si legge – non ci sono controlli adeguati e bilanci sulle loro forze militari, ponendo così una minaccia alla stabilità internazionale”. E l’Italia, in questo quadro, fa la sua magrissima figura: il nostro Paese, ottavo al mondo per esportazione d’armi, è considerato “particolarmente a rischio di corruzione nella vendita di armamenti”. Per mancanza di trasparenza e anche perché fra i suoi principali Paesi acquirenti ci sono gli Emirati Arabi Uniti, l’India e la Turchia, tutti risultati a rischio di corruzione “elevato” o “molto elevato”. Insomma, pur avendo firmato e ratificato il trattato ATT (Trattato internazionale sul commercio delle armi) per la regolamentazione del commercio di armi convenzionali nel 2014, “l’Italia ha dimostrato distintamente di non ottemperare abbastanza ai principi anti-corruzione dell’ATT e di non sottoporre affatto le prossime esportazioni d’armi al dibattito e all’approvazione parlamentare”. Regolare no, ministro Pinotti?