di Marcello Villella
Con l’avvicinarsi dell’estate i comuni italiani fanno a gara a presentare rassegne, sagre e festival. Sembra tutto gratis ma quasi sempre il conto alla fine lo paghiamo noi. Il presidente dell’ A.N.A.T., una delle più antiche e importanti associazioni degli impresari di spettacoli teatrali e musicali, ci spiega il come e il perché.
“So di andare contro i miei interessi, ma da cittadino io vorrei che i comuni e le regioni utilizzassero i loro fondi per finanziare rassegne e concerti solo dopo aver messo a posto scuole, strade e servizi sociali”. È un fiume in piena Rolando D’Angeli, uno dei più famosi impresari italiani – colui che ha scoperto artisti come Giorgia, Nek, Michele Zarrillo e tantissimi altri – da pochi mesi alla guida dell’A.N.A.T. , la più antica associazione nazionale di categoria degli impresari musicali e di teatro, che raccoglie più di cento operatori.
“Si avvisano dei timidissimi segnali di ripresa per la prossima estate, e davvero mi auguro che quest’aria nuova che spira nel paese cancelli tutte quelle ‘anomalie’, tutte quelle ‘distorsioni’, che abbiamo registrato negli ultimi anni. Quando ho iniziato io – quaranta anni fa – l’organizzazione dei mille spettacoli, delle mille iniziative che ogni anno si svolgono nel nostro paese erano totalmente in mano ai comitati locali e alle pro-loco. Loro raccoglievano il denaro fra i privati e poi cercavano di utilizzarlo al meglio. Ricordo interminabili trattative per cercare di ottenere, con quanto era disponibile nelle loro casse, l’artista e lo spettacolo di maggior richiamo… Una competizione di campanile spesso, ma una competizione sana; poi è arrivata la politica e sono cominciati i guai”.
“Tranne poche virtuose eccezioni, si sono subito create strutture esterne – Srl o associazioni culturali – composte spesso e volentieri da persone senza alcun gusto e esperienza: parenti e amici dei sindaci, degli assessori, e dei piccoli potentati locali. Queste strutture esterne sono subito diventate degli ‘indispensabili filtri’, onerosi e inutili, del processo. Non si cercava più di spendere al meglio il ‘certo’ che si poteva raccogliere, ma c’era la rincorsa al costoso, in modo da poter gestire budget sempre più grandi, creare clientele, massimizzare i profitti. Tutto questo a discapito della professionalità, spesso anche della sicurezza e soprattutto buttando tutto i costi sulle spalle della comunità. Costi spesso insostenibili: lei lo sa quanti dei nostri associati sono creditori degli enti locali ?”
D’Angeli è anche pronto a fare autocritica. “Certamente una parte di responsabilità l’abbiamo anche noi. Forse si sarebbe dovuto denunciare prima e con voce più forte, e – spesso per paura di rimanere tagliati fuori dal mercato – questo non è stato fatto. Ma ora è il momento giusto per cambiare le cose: perché una cosa è la volontà da parte delle istituzioni di sostenere e incentivare le iniziative culturali, e questo si può fare anche solo mettendo a disposizione spazi e strutture, un’altra è il volere a tutti i costi entrare direttamente o indirettamente nel processo organizzativo”.