Residenze per anziani, la Cassazione azzera le rette per l’Alzheimer

La Cassazione azzera le rette Rsa per l’Alzheimer, ma il diritto alla cura resta un privilegio per chi può permettersi di far causa

Residenze per anziani, la Cassazione azzera le rette per l’Alzheimer

Dopo anni di decreti ingiuntivi, appelli e sentenze, la Corte di Cassazione ha stabilito che per le persone affette da Alzheimer le rette delle Rsa devono essere interamente a carico del Servizio sanitario nazionale. La pronuncia, accolta come una liberazione da oltre un milione di famiglie, apre però una faglia che rischia di far sprofondare il sistema sociosanitario in una guerra fra poveri e fra territori. Perché quando non è lo Stato a decidere, lo fa la giurisprudenza. Ma la giustizia non sempre è giusta, se si limita a fotografare chi può permettersi di far valere i propri diritti in tribunale.

Il punto, come chiarisce Eleonora Trentini in un’analisi chirurgica su lavoce.info, è che l’attuale sistema si regge su un equilibrio ipocrita: le regioni garantiscono il 50 per cento della spesa per le Rsa, il resto è sulle spalle delle famiglie. Un compromesso che diventa ricatto quando la non autosufficienza non è una scelta, ma una condizione permanente.

Dove finisce il diritto e inizia la sentenza

Il problema è che le Rsa non sono tutte uguali. E nemmeno i malati. Le sentenze favorevoli a chi è affetto da Alzheimer si fondano sull’idea che la malattia richieda cure sanitarie continue e prevalenti, dunque totalmente a carico dello Stato. Ma le stesse Rsa, nella loro composizione del personale, raccontano un’altra storia: meno del 25 per cento degli operatori ha un profilo sanitario, il grosso del lavoro grava su Oss e figure assistenziali malpagate e spesso insufficienti. Le stime più aggiornate parlano di un rapporto personale/ospiti pari a quello delle carceri italiane, con punte anche peggiori.

Nel frattempo, la politica non decide. La riforma prevista dal Pnrr è rimasta senza risorse. E i Lea – i livelli essenziali di assistenza – fissano regole che ignorano completamente l’evoluzione epidemiologica e demografica del Paese. Il Fondo per la non autosufficienza esclude la residenzialità. I Lep, i livelli essenziali delle prestazioni sociali, nemmeno la nominano. E i comuni, lasciati soli, alzano le soglie Isee per limitare i pochi contributi disponibili, alimentando così una selezione al contrario: accede solo chi è già scivolato nella miseria, mentre chi non può permettersi una Rsa e non è abbastanza povero da ottenere aiuti resta a casa, a carico della famiglia.

Ma il paradosso più feroce è un altro: mentre si prova a costruire un modello che faccia della casa il primo luogo di cura, le sentenze creano l’incentivo opposto. Se finisci in Rsa hai diritto alla copertura completa, se resti a casa ti arrangi. Così si favorisce l’istituzionalizzazione, invece che supportare le cure domiciliari.

Eppure i dati parlano chiaro. Secondo Antonio Guaita, , medico geriatra e direttore della Fondazione Golgi Cenci, oltre il 39 per cento degli ospiti in Rsa soffre di demenza, ma in meno del 20 per cento delle strutture esistono nuclei specializzati. La disabilità non è immobile: si muove, spesso in modo imprevedibile, e chiede sorveglianza continua. I bisogni sanitari crescono, ma il personale non basta. Il rapporto medio in Italia è di 0,2 infermieri ogni 100 anziani: in Olanda sono 1,5, in Svizzera 3.

La disuguaglianza è una scelta istituzionale

Così il sistema si spacca in due: chi ha avuto la forza e le risorse per andare in tribunale – spesso eredi di persone decedute – ottiene il rimborso delle rette; chi è vivo e non può pagare resta fuori. In un Paese in cui la sanità pubblica è a geometria variabile e la disuguaglianza è diventata criterio di selezione, anche invecchiare è un privilegio.

Serve una legge. Serve una riforma vera. Serve il coraggio di dire chi deve pagare il conto. Ma soprattutto serve un’idea: che la cura non può essere una fortuna, né una sentenza favorevole. Deve essere un diritto. E i diritti si garantiscono con risorse, regole chiare e responsabilità pubblica. Non con l’arbitrarietà dei tribunali.