Lo stato della Giustizia in Italia è davvero migliorato, come ha detto mercoledì scorso il ministro Andrea Orlando nella sua relazione al Senato, oppure le cose stanno molto diversamente, come è peraltro percezione comune? A fare un raffronto tra la versione del Governo e la realtà – cifre alla mano – è stata ieri la pagella politica dell’agenzia di stampa Agi. Il ministro, ricordiamo, ha affermato che: “I dati mostrano un progresso del sistema giudiziario italiano con numeri sensibilmente avvicinatisi alla media europea. Un’inversione di tendenza evidenziata anche nei rapporti internazionali”. Il riferimento del ministro era in particolare alla riduzione delle cause civili e, in misura minore, di quelle penali. Nel mese di giugno 2013 le cause civili erano infatti circa cinque milione e 200mila. Al 30 giugno 2016, il totale, al netto dell’attività del giudice tutelare, è sceso a circa tre milioni e 800mila. Sul versante penale, il numero complessivo di procedimenti pendenti presso gli uffici giudiziari è calato nel 2016 del 7%, attestandosi a 3.229.284 procedimenti.
Si migliora pochissimo – Alcuni rapporti, specie di origine comunitaria – evidenzia la pagella del’Agi – sembrano dare ragione a Orlando per quanto riguarda i progressi degli ultimi anni e un’inversione di tendenza rispetto al passato. Ma certificano una distanza ancora notevole con l’Europea, in particolare per la durata dei processi. Secondo il rapporto Cepej 2016 del Consiglio d’Europa, che fa riferimento a dati del 2014, migliora ad esempio per l’Italia il carico delle pendenze civili e commerciali (i numeri non sono gli stessi citati da Orlando perché nei dati europei, per esigenze di comparazione, vengono conteggiati procedimenti e cause parzialmente diversi). Dai 3,8 milioni del 2010, ai 3,3 milioni del 2012, fino ai 2,75 milioni del 2014. Il trend è positivo ma si tratta comunque di numeri enormi: in Germania le pendenze nel 2014 erano meno di 750mila, in Francia poco più di 1,5 milioni, in Spagna poco più di 850mila.
Maglia nera – La durata dei processi continua poi ad essere un problema. Ancora secondo il rapporto Cepej, l’Italia resta una delle pecore nere in Europa. Pur avendo un “clearence rate” – cioè un tasso di risoluzione delle cause rispetto a quelle nuove che iniziano – positivo (quasi al 120%), grazie anche alle recenti riforme che hanno incrementato i meccanismi di risoluzione alternativa, l’Italia è in una “situazione critica” a causa del “disposition time”, cioè del tempo necessario a risolvere una causa: 532 giorni per il primo grado civile/commerciale (a media europea è di 237 giorni). Peggio di noi fa solo Malta. Stessa cosa per la giustizia amministrativa (disposition time per il primo grado di giudizio 984 giorni contro una media dei Paesi europei di 341 giorni, ma le pendenze vanno diminuendo) e il penale (clearence rate in questo caso persino leggermente negativo, al 94% nel 2014, ma con una riduzione del 4% delle pendenze). Dunque, se è vero che l’inversione di tendenza di cui parla il ministro Orlando c’è, soprattutto sullo smaltimento degli arretrati, non è vero invece che il nostro Paese si è avvicinato “sensibilmente” alle medie europee, in particolare per quanto riguarda la durata dei processi.