È risaputo che il meglio sia nemico del bene e che anche un piccolo aiuto, specie quando si è in difficoltà, possa assumere un grande valore. La social card introdotta dal governo Meloni a meno di un anno di distanza dalle europee ci ricorda gli 80 euro in busta paga voluti da Renzi a ridosso del voto per i nostri rappresentanti al Parlamento di Bruxelles nel 2014. Nessuno demonizza in via assoluta le misure, la prima ha visto la sua fine solo lo scorso anno mentre l’altra – di recentissima introduzione – è arrivata in un momento in cui l’inflazione e il caro vita assediano gli italiani, ma non si può ignorare quanto queste dicano di una certa visione del paese e del lavoro.
Solo tanta propaganda
Sicuramente la vicinanza alle elezioni ne evidenzia il tratto propagandistico che però non costituisce una colpa, la politica si regge sull’acquisizione e sul mantenimento del consenso e che una stessa operazione di strategia comunicativa possa assumere in tempi diversi un distinto valore. Del resto questa stessa argomentazione è stata utilizzata anche dai detrattori del reddito di cittadinanza con attacchi mirati allo strumento che avrebbe permesso al Movimento Cinque Stelle di rafforzarsi in modo particolare nel Mezzogiorno dove per taluni vi sarebbe una elevatissima concentrazione di “divanisti” (coloro che al lavoro preferiscono la comodità del divano) e per altri un reale problema legato alla complessità del territorio destinata a peggiorare drammaticamente, questo è sicuro, con l’autonomia differenziata.
Il reddito di cittadinanza che sappiamo essersi retto sulle due gambe dell’assistenzialismo e delle politiche attive del lavoro ha mostrato delle forti criticità specie nell’inserimento nel mondo delle professioni dei suoi percettori. Quel lavoro che oggi stando a quanto ci dicono i dati è finalmente in crescita, come se anche solo la previsione di eliminare il reddito di cittadinanza avesse indotto gli occupabili pigri a rimboccarsi le maniche.
Il lavoro povero non aiuta la natalità
In realtà, la vera domanda da porsi è: di che tipo di lavoro si tratta? Perché se precario e povero, il governo ha ragione nel vantare un successo. Se invece si tratta di un lavoro dignitoso, fondato su tutele contrattuali, su un salario minimo sotto la cui soglia non è possibile per legge scendere, e se questo garantisce quella continuità utile a qualsiasi progetto individuale e familiare, allora siamo completamente fuori strada.
La cosa singolare, infatti, è come proprio un governo di stampo conservatore, che mette tra i suoi obiettivi prioritari l’uscita dall’inverno demografico in nome della moltiplicazione delle famiglie (“tradizionali”, eh!) distrugga le condizioni affinché queste possano essere davvero costruite: la casa e il lavoro. La destra che ha sonoramente vinto le ultime elezioni politiche vantava di aver sorpassato la sinistra proprio sul suo campo: quello dei diritti sociali, andando nelle periferie e intercettando il malessere di coloro che non si sono più sentiti rappresentati dai partiti ai quali tradizionalmente afferivano con militanza attiva, o con un semplice ma decisivo voto alle urne.
Così la sinistra, quella chiusa nell’individualismo dei diritti civili e nelle aree urbane soggette alla Ztl, è andata ridimensionandosi nel suo appeal elettorale sino a occupare i banchi dell’opposizione. Una sconfitta di cui è ancora frastornata. Ma poiché i bluff prima o poi vengono scoperti, il governo Meloni ha già mostrato la debolezza della sua azione, anche su questo specifico terreno, e tra ritorno in pompa magna dei voucher, lavoro sottopagato (non si capisce ancora perché si contrappongangano i Ccnl al salario minimo quando i primi possono essere ridiscussi introducendo serenamente la soglia dei 9 euro lordi l’ora) e contratti a termine da rinnovare (anziché incentivare il lavoro a tempo indeterminato), non sta mantenendo una delle promesse più solenni fatte ai suoi elettori.
Perciò oggi l’opposizione ha un compito: quello di svegliarsi dal torpore degli ultimi anni e agire compattamente – senza che per questo vi sia l’annullamento della propria identità partitica – in nome dell’interesse degli italiani che hanno bisogno a partire dal lavoro di dignità e continuità, non di futili promesse che evaporano dinanzi alla responsabilità di governo.