“Quello che tu e che noi non abbiamo capito è che ormai siamo bersaglio mobile di tutti… cioè io devo andare a Frigole domenica per la questione delle poste dove ci sono persone a cui abbiamo dato il culo…”. Parlava così l’allora deputato di centrodestra Roberto Marti, oggi senatore della Lega, coinvolto in una maxi indagine su presunti voti elettorali scambiati con alloggi popolari, al telefono con l’allora assessore al bilancio del comune di Lecce Attilio Monosi.
Un’intercettazione tra le tante finite nel fascicolo dei pm pugliesi e per le quali la Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio dovrà decidere in merito al loro utilizzo in un eventuale processo. L’inchiesta per cui il senatore è tutt’ora indagato per reati che vanno dal tentato abuso d’ufficio al tentato peculato, è scoppiata lo scorso settembre a Lecce, città natale del politico. Una vicenda tutta da verificare, cosa che vogliono fare i magistrati, e che appare piuttosto delicata perché sta mettendo in profondo imbarazzo il Carroccio che, con una serie di operazioni politiche per guadagnarsi il favore nel Sud del Paese, ha stretto discutibili alleanze.
Del resto il caso è scottante perché secondo i magistrati l’allora deputato avrebbe avuto un ruolo tutt’altro che secondario nel tentativo di assegnazione di una casa confiscata alla mafia ad Antonio Briganti. E quest’ultimo, ironia della sorte, non è di certo l’ultimo arrivato bensì è il fratello del boss della Sacra Corona Unita leccese Maurizio. Insomma un pasticcio vero e proprio su cui la Procura di Lecce intende vederci chiaro ma che, per farlo, avrà bisogno dell’autorizzazione da parte della Giunta dato che le presunte prove sono contenute proprio nelle intercettazioni finite agli atti. Telefonate contro le quali hanno tuonato i legali di Marti perché, a parer loro, queste non sarebbero state captate casualmente ma compiute su utenze o luoghi riferibili, direttamente o indirettamente, al parlamentare e quindi inutilizzabili. Tesi, questa, già rigettata dal gip Giovanni Gallo.
Tra le intercettazioni che secondo i pm inchioderebbero il senatore, c’è senza dubbio quella di agosto 2014. Una telefonata emblematica perché, scrivono i magistrati: “documenta il fortissimo interesse di Marti a risolvere il problema dell’assegnazione dell’immobile a Briganti”. Non solo. L’audio dimostrerebbe secondo l’accusa anche la consapevolezza degli interlocutori di aver messo in atto condotte illecite che potrebbero avere serie ripercussioni. Infatti in questa telefonata il politico conversando con Monosi, gli fa presente che un contatto comune (secondo l’accusa colui che avrebbe gestito l’emergenza abitativa del fratello del boss) “pensa che non lo chiami per questioni politiche”. L’assessore taglia corto: “digli che è un coglione”. Martì acconsente ma fa capire al suo interlocutore che sulla vicenda c’è una certa urgenza. E così Monosi, prima di salutarlo, gli risponde: “Mo che finisco con le dichiarazioni dei redditi, mi dedicherò a questa cosa per risolvere il problema senza rischiare che ci arrestino”.