A vedere le previsioni economiche il Paese sta crescendo. Di poco, ma quello striminzito 1% di Pil in più quest’anno è alla portata delle statistiche compilate persino dalla poco generosa Europa o peggio dal Fondo monetario internazionale. Se però lasciamo da parte questi numeri e guardiamo la realtà attorno a noi il quadro non è tutto rose e fiori. Soprattutto sul versante delle piccole e medie imprese, dove l’occupazione regge meglio che nelle grandi aziende ma parlare di ripresa non è proprio possibile. A fare i conti è stata solo pochi giorni fa la Cna, la maggiore associazione nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa. Il 2016 ha spazzato via quasi 16mila attività artigiane. E alla fine di dicembre il numero di imprese artigiane in attività ha toccato il valore più basso del nuovo millennio, scendendo a complessive 1.342.389 unità, stock ridottosi in un anno di 15.811 imprese artigiane. Ogni giorno, insomma, in 43 hanno abbassato la serranda senza essere sostituite. Tradotto in parole ancora più semplici, la riduzione delle imprese rispetto al 2015 è stata dell’1,2%. Un calo particolarmente pesante, soprattutto se comparato ai dati macroeconomici del sistema Italia.
Settore in ginocchio – Nel 2016, infatti, il numero complessivo delle imprese registrate alle Camere di Commercio è aumentato di 41mila unità circa, con una variazione positiva dello 0,7%. Il prodotto interno lordo è stimato in crescita dello 0,8%. Dunque anche per artigiani e pmi c’era da attendersi un piccolo scatto in avanti. Scatto che invece non c’è stato. I posti di lavoro in questo comparto sono scesi infatti dell’1,7%, con punte in settori come quello dei trasporti (-1.928 imprese, pari al -2,1%). Non manca comunque qualche luce in questo panorama. La decimazione si è accanita principalmente su tre settori: le costruzioni, che archiviano una perdita di 15.089 imprese e le attività manifatturiere (-5.471 attività). Siamo dunque di fronte a una vera e propria erosione della base produttiva artigiana, frutto sostanzialmente della scarsità di nuove imprese. Nel 2016 si è toccato il record negativo del nuovo millennio con appena 82.995 new entry (erano state oltre 114mila nel Duemila, più di 137mila al picco del 2007). L’anno scorso sono calate, è vero, anche le cessazioni (-98.806 imprese, pari al 7,4%) ma non tanto da compensare il calo di natalità.
Poca cassa – I motivi di questo malesessere sono molteplici. E se proprio se ne deve individuare uno, il segretario generale della Cna, Sergio Silvestrini non ha dubbi: in questi tempi di grande crisi delle banche il tallone di Achille è nel credito. “La piccola impresa dà lavoro al 60% degli occupati italiani e produce il 40% del valore aggiunto nazionale, ma ottiene solo il 20% del credito, spiega Silvestrini. Uno scarto che frena la crescita e l’irrobustimento delle piccole imprese e, soprattutto, la ripresa economica del Paese”. Che la situazione stia svantaggiando enormemente le piccole imprese è frutto di dati ineludibili. “Dalla fine dello scorso anno si registra un recupero del credito alle imprese con oltre venti addetti – rivela Silvestrini – mentre però permane negativa la dinamica di quelle con meno di venti dipendenti. Gli interventi della Bce si sono riverberati, di fatto, solo sulle imprese di maggiori dimensioni”. Le sofferenze bancarie d’altra parte sono in aumento. Colpa dei piccoli? “Ma niente affatto – dice il segretario Cna – perchè i numeri testimoniano che invece i piccoli non possono essere accusati dei problemi sofferti dal sistema bancario in quanto le sofferenze relative ai prestiti fino a 125mila euro rappresentano solo l’11,3% del totale, anche se riferite all’81,7% della clientela. Le sofferenze causate dai prestiti superiori al milione di euro, viceversa, sono oltre il 61% complessivo, sia pure generate soltanto dal 2,6% della clientela”.