Il lavoro aumenta, ma la sua qualità è sempre dubbia. E a confermarlo non è solo l’alto numero di contratti part-time, il ricorso a collaborazioni flash o la precarietà dei lavoratori, ma anche dal lato delle imprese arriva un ulteriore elemento: nel 2023 la produttività in Italia è crollata. A certificarlo è l’Istat, segnalando che tutti gli indicatori sono in calo e che la flessione è del 2,5%.
Le ore lavorate sono infatti cresciute del 2,7%, a fronte di un valore aggiunto di beni e servizi realizzati che è solo dello 0,2%. La discesa ha riguardato quasi tutti i macrosettori, a partire dall’industria. Fanno eccezione le costruzioni (+4,3%, probabilmente anche grazie a incentivi come il Superbonus) e le attività artistiche e di intrattenimento (+3,4%). Male i servizi finanziari e assicurativi (-8,1%) e il settore pubblico (-3,9%), ma anche le attività professionali, la manifattura e il commercio.
Crolla la produttività: la colpa è (anche) delle imprese
La flessione arriva in un contesto, nell’ultimo decennio, di lenta crescita, con un incremento medio annuo dello 0,5%. Pari, però, a meno della metà della media europea. Da cosa dipende questo calo? Le ore lavorate sono superiori alla media europea, quindi il problema deriva dalle dotazioni tecnologiche e dalle procedure, probabilmente non all’altezza.
In Italia i datori di lavoro e le imprese restano quindi indietro rispetto all’estero. D’altronde, spiega l’Istat, la flessione rispecchia ciò che succede dal punto di vista del progresso tecnico, della conoscenza e dell’efficienza dei processi. Praticamente le imprese guadagnano di più ma non investono, preferendo la distribuzione dei dividendi ai soci.