Un taglio di oltre 85 milioni di euro, 55,8 alla Camera e altri 29,3 al Senato. Ecco quanto potrebbe valere la sforbiciata agli stipendi dei parlamentari annunciata in tandem, in diretta Facebook, dal capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, e da Alessandro Di Battista. Ma come si arriva a queste cifre? Un testo di riferimento ancora non c’è, ma come base di partenza non è escluso che possa essere rispolverata la proposta di legge depositata a Montecitorio nella passata legislatura dell’ex deputata, oggi consigliera regionale M5S del Lazio, Roberta Lombardi. Proposta che prevedeva il dimezzamento dell’indennità parlamentare. Vale a dire quella voce che, tecnicamente, corrisponde allo stipendio stricto sensu inteso (escludendo quindi tutte le ulteriori voci di rimborso previste dal trattamento economico, leggi pezzo) di deputati e senatori. E che ammonta, attualmente, a 10.435 euro lordi al mese per gli inquilini di Montecitorio e a 10.385 euro, sempre lordi e sempre al mese, per quelli di Palazzo Madama. Detratta l’Irpef e le addizionali regionali e comunali – queste ultime variano a seconda della località di residenza del singolo parlamentare – parliamo, più o meno, di uno stipendio netto mensile di circa 5.000 euro.
Nel bilancio di previsione 2019 della Camera, la spesa prevista per pagare l’indennità parlamentare ai 630 deputati in carica ammonta a 78,9 milioni. Il dimezzamento abbatterebbe il costo degli stipendi a circa 40 milioni l’anno. Gli stipendi dei 315 inquilini del Senato, invece, è costato nel 2018 (il previsionale 2019 non è stato ancora approvato) 40 milioni di euro. L’intervento auspicato dai Cinque Stelle taglierebbe la voce di spesa a 20 milioni l’anno. In tutto, circa 60 milioni di tagli considerati entrambi i rami del Parlamento.
Ma non è tutto. I risparmi, infatti, potrebbero essere addirittura più consistenti se vedesse la luce la riforma costituzionale M5S-Lega che riduce il numero dei parlamentari. Scendendo, infatti da 630 a 400 deputati, il costo degli stipendi scenderebbe ulteriormente da 40 milioni (per effetto del dimezzamento delle indennità) a 25,4 milioni (per effetto del taglio del numero degli onorevoli) all’anno. Una sforbiciata da 55,8 milioni, pari al 38,5%. E a Palazzo Madama? Passando da 315 a 200 senatori, la spesa di 20 milioni (ottenuta dimezzando le indennità parlamentari) si ridurrebbe ulteriormente a 12,7 milioni l’anno. Con un taglio complessivo di 29,3 milioni, il 36,7% in meno rispetto al costo attuale. In totale, tra Camera e Senato, la sforbiciata abbatterebbe i costi del Parlamento di circa 85 milioni l’annno.
Considerati, però, i tempi decisamente lunghi della riforma costituzionale, che necessita di quattro letture, due a Montecitorio e due a Palazzo Madama, oltre all’eventuale referendum, potrebbe viaggiare molto più spedito il taglio delle indennità parlamentari che può essere disposto con legge ordinaria. In realtà già oggi gli Uffici di presidenza dei due rami del Parlamento potrebbero intervenire con delle delibere sugli stipendi di deputati e senatori. Come del resto hanno fatto, da 12 anni a questa, parte bloccando gli adeguamenti delle retribuzioni. Tuttavia, una legge del 1965 stabilisce che lo stipendio di deputati e senatori non può superare il “trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate”, fissando di fatto il tetto oltre al quale non si può andare.
Per sganciare le indennità parlamentari dagli stipendi dei magistrati è quindi necessaria una modifica legislativa. Lo stesso discorso vale per una delle voci di rimborso elargite ai parlamentari in entrambi i rami del Parlamento. Vale a dire la diaria, il rimborso spettante per le spese di soggiorno nella capitale (3.500 euro al mese sia alla Camera che al Senato, leggi pezzo a pagina 3): l’ammontare massimo previsto dalla stessa legge del 1965 è agganciato alla diaria dei magistrati di Cassazione. E in relazione ad esso l’Ufficio di Presidenza determina la misura concreta del rimborso e le modalità di penalizzazione (può subire decurtazioni in base alle assenze).
Insomma, se la sforbiciata andasse in porto, la XVIII legislatura, quella in corso, potrebbe passare alla storia come quella in cui si è dato corso al più consistente taglio delle spese parlamentari. Agli 85 milioni di euro di risparmi, per effetto incrociato del dimezzamento delle indennità parlamentari e della riduzione del numero di deputati e senatori, va infatti aggiunta la sforbiciata da 45,6 milioni di euro, già accantonati a Montecitorio, più altri 17 circa che il prossimo bilancio di previsione 2019 dovrebbe contabilizzare a Palazzo Madama, frutto del ricalcolo contributivo dei vitalizi in essere già disposto dagli Uffici di presidenza di entrambi i rami del Parlamento. Un taglio complessivo, quindi, di circa 147 milioni. Più o meno il 10% delle spese totali annue di Camera e Senato.