Come procede il “piano Mattei” sventolato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che dovrebbe normalizzare le coste africane, verificare il rispetto dei diritti e aiutare le bonomie locali? Per tastare il polso basta ripercorrere gli ultimi eventi in Libia e in Tunisia. Proprio la Tunisia è lo Stato su cui il governo punta con forza per farne una “nuova Libia” in tema di contenimento delle partenze e parcheggio illegale degli esseri umani. Venerdì scorso la cosiddetta Guardia costiera libica ha sparato colpi di arma da fuoco durante una operazione di soccorso della ong SOS Mediterranée in acque internazionali, al largo della costa della Libia.
La giornalista Eleonora Vasques di Euractiv che si trovava con i soccorritori racconta che la nave Ocean Viking ha cercato di stabilire una comunicazione con i libici dopo avere ottenuto il via libera dall’Italia ma il dialogo è stato molto difficoltoso poiché i libici non parlavano in inglese ma solo in arabo. Secondo il diritto marittimo essere in grado di parlare in inglese è obbligatorio per qualsiasi guardia costiera. Recuperati i naufraghi – racconta la giornalista – i libici “hanno iniziato una serie di manovre pericolose, prima tentando di bloccare il percorso dei due motoscafi a una velocità estremamente elevata prima di aprire il fuoco”.
Migranti abbandonati nel deserto
“Le operazioni di ricerca e salvataggio e uno stretto coordinamento in queste questioni sono assolutamente fondamentali, l’Ue chiederà alle competenti autorità italiane e libiche di chiarire la situazione”, ha detto una portavoce della Commissione europea durante il briefing quotidiano con la stampa. “Per noi è molto chiaro che tutte le operazioni di ricerca e salvataggio da parte di qualsiasi attore devono essere condotte nel pieno rispetto dell’assistenza internazionale”, ha aggiunto.
E la Tunisia? Le organizzazioni umanitarie raccontano che migliaia di migranti siano stati abbandonati nel deserto che confina con Libia e Algeria, senza acqua né cibo. È di questi giorni il video di una donna allontanata da Sfax che ha dovuto partorire nel deserto. Si tratta di espulsi da Sfax a seguito dell’intensificarsi della tensione tra stranieri e residenti. Molti denunciano di essere stati privati di documenti e denaro e di non avere nemmeno i soldi per comprare l’acqua, come confermano i tunisini solidali intervistati dall’emittente francese France24 mentre distribuivano acqua e cibo.
Il presidente tunisino Kais Saied parla di un complotto per “africanizzare il Paese”, sulla scia della teoria della “sostituzione etnica” tanto cara anche a alcuni membri del nostro governo. Si tratta di una vera e propria “caccia al migrante”: gli stranieri individuati con vere e proprie retate dalla polizia tunisina sono stati portati al valico di frontiera di Ras Jedir, al confine con la Libia con la falsa promessa che sarebbero invece stati portati a Tunisi.
Il lavoro sporco appaltato alla Tunisia come alla Libia
“Il governo tunisino dovrebbe interrompere le espulsioni collettive e portare aiuti umanitari ai migranti africani e ai richiedenti asilo già espulsi in un’area pericolosa al confine tra Tunisia e Libia. Sono senza cibo e senza assistenza medica”, ha affermato Lauren Seibert, ricercatrice di Human Rights Watch. “Non solo è inconcepibile abusare delle persone e abbandonarle nel deserto, ma le espulsioni collettive violano il diritto internazionale”. Ieri la Libia a chiesto alla Tunisia di “rimuovere i rifugiati che si sono infiltrati al valico di frontiera libico”.
Intanto, la Mezzaluna Rossa tunisina ha effettuato ieri una prima visita ai migranti garantendo acqua, cibo e le prime cure. Come procede il “piano Mattei”? Come si poteva immaginare. L’Italia (e parte delll’Ue) vorrebbero appaltare alla Tunisia una parte del lavoro sporco di cui si è occupata in questi anni la Libia. La Tunisia sta tenendo lo stesso atteggiamento dei libici: utilizzare i migranti come arma non convenzionale di ricatto contro l’Ue. Così al posto di sanare l’illegalità libica si è pensato bene di raddoppiarla e ora i ricattatori sono due.