Settimana cruciale, quella che si è aperta ieri, per il governo e per l’Italia, visto che in ballo ci sono due questioni di fondamentale importanza: il Mes e il Recovery Fund. Si è infatti arrivati al Consiglio dei ministri di ieri con all’ordine del giorno la “Definizione e attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” dopo giorni di tensioni e polemiche all’interno della maggioranza giallorossa, prima con i “dissidenti” del M5S, contrari alla riforma del fondo salva stati e poi con il No di Italia Viva rispetto alla gestione dei fondi europei proposta dal premier Conte.
Il vero nodo politico da sciogliere, motivo per il quale il cdm ha subito una serie di stop and go, (prima convocato alle 9, poi slittato alle 11, infine partito alle 13 e sospeso nel pomeriggio dopo la notizia della positività della ministra Luciana Lamorgese al Covid) è ancora quello della governance, con la delegazione di Italia Viva pronta a far saltare il tavolo se dovesse passare la di cabina di regia con il supporto di sei manager. Veto già manifestato la notte prima del Cdm nella riunione di maggioranza che doveva essere preparatoria e che invece ha visto l’abbandono dei due rappresentanti renziani Rosato e Boschi e la caustica dichiarazione del capogruppo al Senato Davide Faraone: “Abbiamo impedito i pieni poteri a Salvini non per consegnarli nelle mani di Conte, a cui comunque è stata data la più grande libertà di azione mai vista da un premier in democrazia, così come era giusto fare durante la pandemia. Fin qui si è governato con i dpcm, oggi si vuole commissariare anche il Cdm, con una struttura e un piano di interventi che non abbiamo nemmeno visto. L’auspicio è che Conte freni e riveda le sue posizioni”.
Posizioni che Giuseppe Conte ha comunque ribadito in serata, dopo la sospensione del Cdm, nella riunione con i capidelegazione della maggioranza: nella bozza – in cui si tracciano obiettivo, riforme e investimenti per un totale di 196 miliardi di euro – il premier conferma i due pilastri della governance, ovvero il comitato esecutivo (guidato dallo stesso premier, i ministri dell’Economia, dello Sviluppo economico e con il ministro delle Politiche Ue come referente con la Commissione) e i sei responsabili di missione, uno per ogni macro area (transizione verde, innovazione, infrastrutture e mobilità, istruzione e ricerca, sanità e parità di genere) con il compito di monitorare i progetti e, in caso di inerzia sull’attuazione dei cronoprogrammi, superarli con poteri sostitutivi.
Nella bozza sarebbero state già individuate anche le assegnazioni di massima delle risorse, con la “rivoluzione” verde che avrebbe la quota più alta – circa 74 miliardi euro – seguita dalla digitalizzazione e innovazione con poco più di 48 miliardi e dall’area infrastrutture e trasporti a cui andrebbero circa 27 miliardi. Il capitolo istruzione e ricerca avrà 19,2 miliardi, la parità di genere 17,1 mentre la Sanità 9 miliardi. C’è poi l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale sui redditi medi, cioè quelli tra 40 e 60mila euro. Il Cdm che dovrebbe sbrogliare definitivamente la questione si terrà oggi, anche perché il tempo stringe in vista del Consiglio europeo di giovedì, in cui i 27 Paesi membri cercheranno di trovare un accordo per arrivare a un voto unanime sul programma di aiuti europei del Next Generation Eu, con la presidenza di turno tedesca che ieri ha lanciato un ultimatum a Polonia e Ungheria, che continuano sulla strada del veto al bilancio Ue nel tentativo di cancellare la clausola sullo Stato di diritto legata all’erogazione dei fondi: comunichino entro domani la loro strategia o si procederà con la formula a 25.