Quello che si profila oggi è uno scontro all’ultima mediazione. Al centro del ring il bilancio europeo per il prossimo settennio per come concepito dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel. Un bilancio che, mai come prima, ha diviso e divide gli Stati membri. Da una parte i “Paesi frugali” e dagli altri gli “amici della coesione”. Al centro un orizzonte grigio di chi è disposto a trattare, salvo assicurarsi qualche trattamento di favore. L’unica certezza, per il momento, è che la proposta avanzata dal presidente del Consiglio europeo non piace di fatto a nessuno.
LA PROPOSTA. A stroncare senza mezzi termini l’ipotesi del presidente del Consiglio europeo è stato ieri anche il premier Giuseppe Conte che, nella sua audizione al Senato, l’ha definita “inadeguata” mettendo in guardia: “Non siamo disposti ad accettare un bilancio insufficiente per le esigenze dei nostri cittadini, in nome di una rapida conclusione del negoziato. Sarebbe una sconfitta non tanto contabile, ma politica”. In particolare, il presidente del Consiglio ha evidenziato come “rispetto all’ambizione rilevata nel programma della Commissione europea” vi “resta poca traccia”. Anche Angela Merkel ha messo le mani avanti rispetto a un possibile accordo, pur parteggiando di fatto per i “frugali”.
“Non so se riuscirà. Il negoziato sarà molto complicato. Riteniamo che gli interessi della Germania non siano ancora tenuti nella sufficiente considerazione”. Il presidente del Consiglio europeo ha convocato il summit straordinario dopo aver messo sul tavolo una proposta da 1.095 miliardi di euro, pari all’1,074% del Pil Ue. La sua ambizione è chiudere la partita al primo round. Un tentativo in cui nessuno è riuscito prima e che ora sembra anche più difficile visto il quadro anche più complicato per il buco da circa dieci miliardi l’anno lasciato dalla Brexit.
I FRONTI IN CAMPO. Gli schieramenti sui fronti opposti, pronti al duello, vedono i cosiddetti Paesi frugali (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia), tutti contributori netti che vogliono un tetto al bilancio Ue pari al 1% del Pil e chiedono di ridurre le risorse per Agricoltura e Coesione e aumentare i finanziamenti per Green Deal, Ricerca e Difesa. Inoltre, esigono una forma di “rebate”: uno sconto rispetto al loro contributo nazionale perché aumenta in modo sproporzionato a causa della Brexit. Tra gli “Amici della Coesione”, invece, ci sono Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Malta, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria.
Vogliono preservare il livello attuale di fondi per l’Agricoltura e la Coesione e si oppongono al “rebate” per i Paesi più ricchi. Gli “Amici della Coesione” al loro interno sono divisi in sotto-gruppi, ciascuno con proprie priorità. C’è, poi, la Germania, che ufficialmente vuole un tetto al bilancio Ue pari al 1% del Pil. Ma la cancelliera Angela Merkel è disponibile a andare oltre, a condizione di ridurre le spese per Agricoltura e Coesione e aumentare i finanziamenti per Green Deal, Ricerca e Difesa. I Quattro di Visegrad – Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia – contestano per proprio contro la condizionalità sullo Stato di diritto, che potrebbero privare Polonia e Ungheria di una parte dei fondi Ue. Insomma la partita è aperta. E l’unico sconfitto per ora pare proprio Michel.