No, non sarà un’Europa verde. L’Unione europea fa marcia indietro sulla lotta alla deforestazione globale. Il 2 ottobre 2024, la Commissione europea ha annunciato il rinvio di un anno dell’entrata in vigore del Regolamento Ue sulla deforestazione (Eudr), una normativa che avrebbe segnato una svolta epocale nella tutela delle foreste mondiali.
Il provvedimento, inizialmente previsto per il 30 dicembre 2025, mirava a vietare l’importazione nell’Ue di prodotti legati alla deforestazione, come caffè, cacao, soia, olio di palma, legno e carta. L’obiettivo era chiaro: arrestare il contributo europeo alla perdita di aree boschive nel mondo, un fenomeno che dal 1990 al 2020 ha causato la scomparsa di 420 milioni di ettari di foreste, secondo i dati della Fao.
La decisione di posticipare l’applicazione della legge al 30 dicembre 2026 per le grandi aziende e al 30 giugno 2027 per le piccole e micro imprese arriva dopo mesi di pressioni da parte di diversi Stati membri, industrie e partner commerciali internazionali. In prima linea tra i critici c’è la Germania, con il cancelliere Olaf Scholz che già a settembre aveva chiesto personalmente alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen di sospendere il regolamento “fino a quando le questioni aperte sollevate non saranno chiarite”.
Le motivazioni addotte per giustificare il rinvio sono diverse: la complessità delle nuove regole, la necessità di più tempo per predisporre i sistemi di tracciabilità e due diligence, l’attesa di documenti tecnici da parte della Commissione per guidare l’attuazione. Ma dietro queste giustificazioni si cela una realtà più scomoda: l’Eudr avrebbe impattato su oltre 110 miliardi di dollari di commercio annuale, influenzando le economie di interi continenti.
La pressione dell’industria vince sulla protezione ambientale
Non sorprende quindi che anche dai Paesi extra-Ue siano arrivate critiche feroci. Il Brasile, nazione simbolo della deforestazione, ha bollato il provvedimento come “uno strumento unilaterale e punitivo che ignora le leggi nazionali sulla lotta alla deforestazione” e che contraddirebbe “il principio di sovranità”.
In questo coro di proteste si è inserita anche l’Italia, con una voce autorevole del settore del caffè. Andrea Illy, presidente di Illycaffè, pur definendo il progetto “nobile”, ne ha criticato l’esecuzione “troppo frettolosa”. Secondo l’imprenditore, la messa in opera della norma sarebbe “estremamente onerosa, soprattutto per i Paesi esportatori, che devono fornire le coordinate geografiche e necessitano di tecnologie e costi operativi fuori dalla loro portata economica”.
Ovviamente questo passo indietro solleva interrogativi sulla reale determinazione dell’Ue nel perseguire gli obiettivi del Green Deal. La decisione arriva infatti pochi giorni dopo un altro cedimento alle pressioni dell’industria: l’accordo tra gli Stati membri per declassare la protezione dei lupi in Europa.
Il Green Deal in bilico: l’UE vacilla sui suoi impegni
Il presidente del Partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber, ha immediatamente rivendicato il merito di questo dietrofront, dichiarando: “Sono lieto che Ursula von der Leyen abbia seguito la mia iniziativa”. Una affermazione che getta più di un’ombra sulle reali motivazioni dietro questa decisione, suggerendo che considerazioni politiche e pressioni industriali possano aver avuto un peso maggiore rispetto alle preoccupazioni ambientali.
Le reazioni degli ambientalisti non si sono fatte attendere. L’eurodeputata tedesca Delara Burkhardt ha accusato von der Leyen di “minare il Green Deal” prima ancora di iniziare il suo secondo mandato. Virginijus Sinkevičius, ex Commissario per l’Ambiente diventato eurodeputato dei Verdi, ha definito il ritardo “un passo indietro nella lotta al cambiamento climatico” che “danneggia la nostra credibilità sugli impegni climatici”.
Il rinvio dell’Eudr rappresenta un chiaro segnale di come l’Unione europea, di fronte alle sfide economiche e alle pressioni internazionali, sia disposta a mettere in secondo piano le proprie ambizioni ambientali. Il secondo mandato di von der Leyen è sempre meno verde.