Il refrain è sempre il solito nelle aule parlamentari tra i banchi dell’opposizione: “Questa non è la destra della legalità, ma la destra dell’impunità”. L’ultima “trovata” probabilmente per alcuni inaspettata è stata la decisione della maggioranza di mettersi di traverso alla possibilità di modificare la riforma Cartabia nei suoi provvedimenti che, a detta di diversi magistrati e giuristi, hanno portato a vere e proprie storture nel sistema giuridico italiano.
Alla Camera la maggioranza ha respinto la richiesta di esaminare la proposta presentata dal M5S per la modifica della riforma Cartabia
Ieri, infatti, in commissione Giustizia alla Camera la maggioranza ha respinto la richiesta di esaminare la proposta di legge presentata dal Movimento cinque stelle per la modifica della riforma Cartabia insieme al ddl che il governo aveva già presentato. “Così facendo si getta alle ortiche la possibilità di correggere velocemente altre criticità della legge Cartabia emerse con prepotente evidenza all’indomani della sua entrata in vigore”, hanno non a caso spiegato in una nota i componenti del Movimento 5 Stelle nella commissione Giustizia della Camera Stefania Ascari, Federico Cafiero De Raho, Valentina D’Orso e Carla Giuliano.
Ma parliamo semplicemente di una questione di lana caprina? Niente affatto. La proposta dei pentastellati interveniva su una questione ben specifica: “Vogliamo ripristinare appieno – continuano nella nota i Cinque stelle – la procedibilità d’ufficio per diversi reati di particolare allarme sociale, ma soprattutto intendiamo intervenire sul concordato in appello, ristabilendo che non si possa fare ricorso a questo istituto in caso di condanne per reati come mafia, terrorismo, violenza sessuale, sequestro di persona e altre gravi condotte criminali”.
Non è questa una cosa di poco conto. Recenti fonti di stampa, ad esempio, hanno denunciato il caso di un uomo di Venezia, condannato in primo grado a sei anni per abusi sessuali sulla figliastra di undici anni, che in sede di concordato con rinuncia ai motivi in appello ha ottenuto una riduzione di oltre un terzo della pena, accedendo così al beneficio della detenzione domiciliare.
E di questi casi, evidentemente fruotto di una distorsione giuridica, ce ne sono diversi. “Evidentemente il governo e la maggioranza preferiscono privilegiare il tatticismo e le bandierine politiche rispetto all’interesse di tanti cittadini preoccupati per l’insicurezza e l’impunità che queste disposizioni sbagliate stanno producendo”, concludono ancora i parlamentari del Movimento.
Insomma, nessun cambiamento epocale nonostante i segnali che arrivano dai tribunali e dai casi di cronaca. E nonostante le avvisaglie arrivate dal Csm in tempi non sospetti. Già più di un anno fa, quando il governo Draghi era in pieno corso, il Consiglio superiore della magistratura aveva parlato del rischio di un “aumento esponenziale dell’impunità anche per reati molto gravi” e la fine della “grande fase dei processi di mafia, aperta negli anni ’80 a Palermo per volere di Giovanni Falcone”.
Parole, queste, del consigliere del Csm Nino Di Matteo. Facile dire che è stato profeta per quel che oggi stiamo vivendo. Quel che si mormora, al di là delle modifiche e di quello che veramente si riuscirà a fare, è che la riforma Cartabia ha aperto una battaglia anche all’interno della stessa maggioranza, tra le varie anime del centrodestra – alcune più garantiste, altre più giustizialiste – e l’atteggiamento del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il pericolo, come spesso avviene in questi casi, è che alla fine la toppa sia peggio del buco.