L’ammucchiata sarebbe un’operazione fallimentare, sbiadita. Un tentativo di autoconservazione. Giulio Cavalli, editorialista e scrittore, usa parole nette sul progetto di Enrico Letta di far alleare il Pd sia con il Movimento 5 Stelle che con Carlo Calenda. “È molto peggio dell’Unione di Prodi”.
Quale quadro si delinea dopo che Letta ha riaperto all’alleanza con Calenda?
“Letta si è preso un ruolo difficile e delicato: quello di voler tenere insieme anime profondamente diverse e direi inconciliabili. E poi deve tenere insieme una truppa parlamentare che non corrisponde minimamente al Pd, che ha in testa. I gruppi sono formati da parlamentari scelti da un ex segretario che nel frattempo ha fondato un altro partito (Renzi, ndr)”.
Quindi Letta, per uscirne, cerca di accontentare tutti?
“La sensazione da fuori è sempre la stessa: quella dell’ammucchiata, che è una cosa tutta italiana. Letta vuole vincere nel 2023 con il Movimento 5 Stelle, e poi dice davanti agli ‘azionisti’ di Calenda di voler vincere anche con loro, nonostante Calenda dica di non voler mai stare con il M5S. Ricordo che lui è uscito dal Pd proprio per l’alleanza con i 5 Stelle: non è una questione di lana caprina, è l’elemento fondante di Azione. O Letta sa qualcosa che non sappiamo, oppure alle prossime elezioni ci sarà un’accozzaglia, che ha il sapore acre dell’autoconservazione di un gruppo dirigente”.
È il modello dell’Unione di Prodi?
“È ancora peggio. Prodi cercava un’alleanza larga, per provare ad avere numeri ampi in Parlamento e portare idee che erano piuttosto chiare. In questo momento i desiderata di Letta si confondono con quell’ammasso di partiti che vuole restare sotto il marchio di Draghi per fare un grande centro con qualche rivolo a destra e a sinistra. E tenere così in piedi questo consiglio di amministrazione che ha sostituito il Parlamento”.
Letta sembra anche intenzionato a riprendere il filo del discorso con Renzi. Come si spiega dopo le tante rotture?
“Qui entra in gioco la natura del Pd. Sin dalla sua nascita, finché non viene frustato, vede barlumi di amicizia ovunque. Anche dagli avversari più ostili. Ma tutto questo fa perdere ulteriore autorevolezza alla politica, in un momento in cui la disaffezione è già forte. E inoltre non fa altro che concimare gli estremismi. È un’operazione fallimentare, sempre molto sbiadita, molto languida. Ed è molto democristiana nell’accezione peggiore del termine”.
E come si colloca l’alleanza tra Letta e Conte in questo discorso?
“Se la proposta è quella che ci hanno detto, Renzi e Calenda rientrino nel Pd e facciano la loro corrente. Così risparmiano sui loghi e sulla carta intestata. A quel punto, il Movimento 5 Stelle portebbe diventare l’unico partito, con un bacino di voti importante, alternativo al draghismo”.
Quasi gli converrebbe?
“Da una prospettiva politicista, ma non politica, certamente”.
Poi c’è il tema della giustizia, a cominciare dai referendum. Anche su questo il Pd si sta spostando verso Renzi e Calenda?
“Sarebbe imperdonabile aprire un dibattito sulla giustizia per dei referendum che sono semplicemente dei tweet un po’ più virali di Salvini. Per la separazione delle carriere, la nostra Costituzione parla di un unico ordine giudiziario. In generale, in un Paese normale l’intesa sulla giustizia dovrebbe essere un punto alla base della possibile coalizione”.
Insomma, dal Pd serve qualche presa di posizione più chiara?
“Sarebbe un passo in avanti che Letta prendesse delle posizioni. Poi si costruisce o decostruisce il ragionamento…”.