Dovrebbero da tempo dedicarsi esclusivamente alle attività filantropiche ed essere completamente sganciate dagli istituti di credito da cui hanno avuto origine, le 86 fondazioni bancarie italiane continuano però ad avere un grande peso e potere sulle banche. Vi hanno investito, stando all’ultimo screening compiuto dal ministero dell’Economia e finanze e aggiornato al 31 dicembre 2019, 11,5 miliardi di euro, il 24,5% del loro attivo e il 28,6% del loro patrimonio netto.
Solo 35 fondazioni hanno completamente dismesso le quote che avevano nelle banche e solo 45 ne hanno meno del 50%. La separazione dell’attività creditizia da quella filantropica è stata stabilita con la cosiddetta riforma Amato del 1990, con la prima attribuita a società bancarie privatizzate e l’altra destinata allo sviluppo culturale, civile ed economico dei territori. Ma la riforma è subito partita male, lasciando alle fondazioni il controllo delle banche scorporate.
Nel 2019 poi, nonostante sia stata registrata una netta ripresa del quadro economico-patrimoniale, vi è stata una considerevole contrazione delle erogazioni e un aumento degli accantonamenti. Meno soldi dunque per i territori e più risorse in pancia. Il valore del patrimonio netto a livello di sistema delle 86 fondazioni è pari a circa 40 miliardi di euro (+1,67%) e il patrimonio maggiore è della Fondazione Cariplo.
A seguire i patrimoni della Compagnia di San Paolo, della Fondazione Cassa di risparmio di Torino, della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, e della Fondazione Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona. Con un valore medio di 468 milioni e solo 17 fondazioni con un patrimonio superiore. Realtà concentrate prevalentemente nel Nord Est (30) e al Centro (30). Per cercare di colmare tale disparità, nel 2006 è stata poi creata la Fondazione per il Sud, che sinora ha erogato 229 milioni di euro.
Il patrimonio immobiliare della fondazioni è aumentato dell’1,69%, superando gli 1,8 miliardi. Una parte consistente dell’attivo è investita in strumenti finanziari quotati o assimilabili, oltre 15 miliardi, ma a pesare sono appunto le partecipazioni nelle società bancarie. Con relativi rischi. Le fondazioni con un’esposizione verso un singolo asset superiore al 33,3%, che solitamente è rappresentato da banche, sono infatti 12, per 11,9 miliardi. Si tratta, secondo i dati dell’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa presieduta da Francesco Profumo (nella foto), di 6,4 miliardi in Intesa San Paolo, 2,2 miliardi in Unicredit, 869 milioni in Credit agricole Italia, 434 in Ubi Banca e 394 in Cassa di risparmio di Bolzano.
Ma investimenti sono stati fatti anche in Cdp per 1,7 miliardi e in Atlantia per 785 milioni. Quelle con esposizioni debitorie in essere sono inoltre 11, hanno un patrimonio netto di 1,9 miliardi e devono ancora estinguere un debito di 40,5 milioni, il 2,1% del loro patrimonio. Nonostante i limiti imposti per evitare sprechi, cinque fondazioni hanno poi superato il massimo dei corrispettivi previsti per gli organi collegiali.
Il totale dei proventi netti è stato di 2,5 miliardi, con costi pari a 261 milioni (+5%), e ben 32,3 milioni sono stati destinati agli organi statutari, quasi la metà di quanto speso per tutto il personale (69,5 milioni). E 5 fondazioni hanno avuto un disavanzo per 8,2 milioni. Le erogazioni sono state infine pari a quasi 860 milioni di euro.