Sì a Ursula Von der Leyen, No a Christine Lagarde. Stavolta però i Cinque Stelle non sono decisivi, come lo furono il 16 luglio scorso in occasione dell’elezione della presidente della Commissione Ue. E alla fine, a Strasburgo, arriva il via libera dell’Europarlamento, con 394 voti a favore, 206 contro e 49 astenuti (tra i quali quelli del Movimento) alla nomina della governatrice della Bce che riceverà, il prossimo primo novembre, dopo la ratifica del Consiglio europeo, il testimone da Mario Draghi.
C’è CHI DICE NO. Una posizione, quella assunta dalla pattuglia degli eurodeputati M5S, che se da non un lato non ha fermato la scalata all’EuroTower dell’ex direttore operativo del Fondo monetario internazionale, d’altra parte fa piazza pulita, una volta per tutte, della fake news cavalcata dalla Lega, dopo la fine dell’esperienza gialloverde, dei grillini asserviti all’Unione europea. Una decisione, quella di non sostenere la Lagarde, motivata sui fatti. “Si è resa corresponsabile di tutte quelle politiche che hanno fatto aumentare a dismisura il debito pubblico in Unione europea solo per salvare le banche private. E una volta che il debito pubblico è cresciuto, si sono giustificate quelle politiche di austerità che poi sono diventate riforme strutturali”, è il ragionamento in casa Cinque Stelle per giustificare l’astensione.
Posizione condivisa dagli ex alleati del Carroccio, ma non dai nuovi del Pd che, al contrario, si sono espressi per il via libera alla nomina della francese Lagarde al vertice della Bce. Un voto quello della pattuglia dem a Strasburgo riassunto per tutti dal presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, in un tweet: “Il Parlamento europeo ha dato il via libera a Christine Lagarde come prossima presidente della Bce. è un passo avanti positivo per l’equilibrio di genere nei posti di alto livello negli affari economici e monetari”. Insomma, una spaccatura plastica tra i due principali azionisti della maggioranza giallorossa che, in Italia, governa sotto l’egida di Giuseppe Conte. Ma sulla quale i grillini tengono bassi i toni a differenza delle polemiche roventi, divampate due mesi fa con gli allora alleati nel Carroccio per analoghi distingo registrati in occasione dell’elezione della Von der Leyen (con i grillini a favore e la Lega contraria).
La consegna è evitare scintille con il Pd per evitare di polarizzare l’attenzione sulla scissione di Matteo Renzi dal Pd. “Per il Governo non cambia nulla”, è il mantra che filtra dai vertici del Movimento. La linea, almeno per ora, è di derubricare la vicenda come questione interna ai dem che non modifica le dinamiche della maggioranza. Anche perché, già prima della scissione, nel Governo Conte 2 erano entrati, come ministri e sottosegretari, esponenti renziani. Un fatto, insomma, con cui già prima dello strappo di ieri, i Cinque Stelle sapevano di dover fare i conti. Ciò che i, però, non era per nulla scontato, è che gli azionisti della maggioranza sarebbero di punto in bianco diventati tre. E d’ora in poi, per ogni controversia sul programma e l’azione dell’Esecutivo, per sanare le divergenze non basterà che a chiarirsi siano Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Al tavolo con il premier Conte occorrerà aggiungere una sedia in più per Renzi. Che peraltro il programma giallorosso non lo ha firmato. è questo che Cinque Stelle e Pd dovranno spiegare, e far digerire, ai rispettivi elettori.