Draghi lancia la sfida. Altro che aperture, ciò che balza agli occhi – pardon alle orecchie – sono i toni di sfida. In quel discorso da prendere o lasciare alla classe politica. Perché lui, il Migliore, è “qui perché gli italiani lo hanno chiesto” ed è agli italiani che i partiti devono rispondere conferendogli quei pieni poteri di salviniana memoria per fare ciò che serve al Paese.
La farsa delle dimissioni di Draghi
Bordate dal premier delle dimissioni revocabili – respinte infatti da Mattarella e mai confermate da Draghi – nel dibattito sulla finta crisi – mai aperta formalmente – senza precedenti aperta da un presidente del Consiglio che sfiducia se stesso pur essendo sostenuto da una maggioranza che esprime il 70% dei parlamentari.
E che oggi è tornato sui suoi passi aprendo definitivamente al bis che solo 5 giorni fa aveva escluso. Se i 5 Stelle non fossero rientrati nei ranghi. Cosa che, discorso del premier alla mano, sarebbe davvero singolare. Dal momento che, nelle parole del premier, non c’è una sola risposta concreta ai 9 punti (condizioni) presentati da Conte.
Fine aperture ai 5 Stelle
Dalla conferma della linea bellicista rivendicata dal presidente del Consiglio che ha confermato di voler continuare ad armare l’Ucraina fino ai denti, al salario minimo, citato in un passaggio del suo intervento al Senato, ricordando che andrà attuato nel confronto con le parti sociali.
Traduzione: nella versione cioè che non contiene il riferimento ai 9 euro l’ora (quella dei 5 Stelle) ma demanda alle parti sociali e alla contrattazione il compito di fissare un tetto (quindi anche inferiore ai 9 euro).
Dal richiamo al Reddito di cittadinanza che va mantenuto ma migliorato (ma senza dire come) per ridurre gli effetti negatici sul mercato del lavoro) al Superbonus “e più in generale i bonus per l’edilizia, intendiamo affrontare le criticità nella cessione dei crediti fiscali, ma al contempo ridurre la generosità dei contributi”.