“Ribellatevi” disse rivolgendosi agli studenti della scuola statale cinematografica dedicata a Roberto Rossellini. Mario Monicelli, uno dei più grandi registi della storia del cinema italiano, che ci ha lasciato tredici anni fa, fino ai suoi ultimi incontri pubblici spronava così i giovani a non accettare i tagli alla cultura e ad usare la forza dell’intelletto per “sovvertire”. E protestare.
Quella di Monicelli è stata una voce fuori dal coro di una intellighenzia nazionale troppo spesso conformista. E con coraggioso e con un tono indignato, attraverso i suoi film, ci ha mostrato la deriva sociale di intere generazioni. “Non ho paura della morte – disse durante un’intervista televisiva – mi spaventa la vecchiaia e il non poter lavorare mi annoia”. A 95 anni non volle sottostare al regolare corso degli eventi e, come fece anche il padre, si tolse la vita il 29 novembre 2010.
Con la risata amara dei suoi film Mario Monicelli ci insegnò a non sperare nel cambiamento ma a farlo
Coerente fino alla fine, a tratti duro, cinico ma sempre realista: le sue opere ci hanno fatto sorridere ma soprattutto riflettere. Ha firmato 66 film e oltre 90 sceneggiature: è considerato tra i padri della commedia all’italiana insieme a Dino Risi, Steno e Luigi Comencini. Tra i grandi artisti da lui diretti si ricordano Totò, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Monica Vitti, Gigi Proietti, Stefania Sandrelli.
Nato a Viareggio nel 1915, esordì nel cinema a soli 17 anni con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, “Cuore rivelatore”. Negli anni ’50, nonostante fosse già tra i registi più conosciuti in Europa, subì varie vessazioni per la censura del film “Totò e Carolina”, sotto accusa per non aver fornito un’immagine decorosa delle forze dell’ordine. Fu quello però anche il periodo dell’enorme successo de “I soliti ignoti”, dell’Orso d’argento a Berlino per “Padri e figli” e del Leone d’oro a Venezia ex aequo per “La grande guerra”. Tra i vari meriti di Monicelli ci fu quello di trasformare Sordi in un attore drammatico in “Un borghese piccolo piccolo” e valorizzare i talenti di grandi attori.
Sia Gassman, in “I soliti ignoti” che, Monica Vitti nella “Ragazza con la pistola” riuscirono infatti a far emergere capacità comiche che non sapevano di avere. Nel 1975 raccolse l’ultima volontà di Pietro Germi che gli affidò la realizzazione di “Amici miei”, pellicola molto apprezzata anche in America, tanto da ricevere tre nomination all’Oscar. Seguirono poi, altre opere di rilievo quali “Speriamo che sia femmina” e nel 1993 il tanto discusso “Parenti serpenti”. Proprio in questo film dimostrò di aver saputo guardare al di là delle apparenze e di saper leggere ed esaminare i lati più oscuri dell’animo umano, mettendo in evidenzia gelosie, contraddizioni ed eterni conflitti che, da sempre caratterizzavano la famiglia e che, per una precisa volontà, non era mai stata messa in discussione.
Il regista scoprì grandi talenti. E i vizi del Paese
Con un tono caustico e sprezzante ha sottolineato le trasformazioni della società italiana. Il 2006, dopo anni di pausa, segnò il suo ritorno sul set con “Le rose del deserto”, liberamente ispirato a “Il deserto della Libia” di Mario Tobino e a Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco. Fu questa la sua ultima regia cinematografica. Acuto, dotato di profondo spirito critico, Mario Monicelli è stato un grande precursore dei tempi e le sue ultime parole sulla politica odierna risuonano infatti, tutt’ora, quanto mai attuali: “Non c’è libertà senza uguaglianza di partenza e lavoro per tutti. La speranza è una trappola inventata dai padroni”.