Più di qualcuno, sulla querelle Autostrade-Ponte Morandi, comincia a giusta ragione a interrogarsi sui tempi: perché Paola De Micheli – ci si chiede – ha autorizzato (anche se pro tempore) Aspi a gestire il nuovo Ponte Morandi pur sapendo che di lì a poco la Corte Costituzionale si sarebbe espressa sull’estromissione dei Benetton dalla ricostruzione del viadotto? E perché, soprattutto, Giuseppe Conte, pur avendo annunciato tempo fa che una decisione sulla questione della revoca delle concessioni non ha mantenuto la parola, lasciando passare parecchio tempo? Tempo – ed è questo il dubbio di più di qualcuno – inutile considerando che, appena è scoppiata la bomba, il presidente del Consiglio ha prontamente detto che una decisione sarà presa nell’arco di pochi giorni, forse già questo fine settimana. Un lasso di tempo molto ristretto che fa legittimamente pensare che in un modo o nell’altro il dossier Aspi sia andato avanti nelle stanze dei bottoni.
TRATTATIVA ADDIO. La questione – come si può agilmente immaginare – non è di lana caprina, soprattutto perché a porsi queste domande non sono tanto i democratici, da sempre favorevoli a mantenere le concessioni ai Benetton (anche se chiedendo maggiori controlli e rapporti differenti), quanto i pentastellati. Forse per la prima volta tra i parlamentari Cinque stelle c’è qualcuno che osa dubitare dell’operato del premier. Col rischio che qualcuno possa azzardare che, forse, Conte non sia così contrario a cercare una posizione mediana tra le due posizioni all’interno della maggioranza: si potrebbe dunque giungere non a una revoca tout-court, ma a un accordo che preveda la gestione di Aspi ma sotto controllo dello Stato e magari a prezzi decisamente più calmierati rispetto a quelli, indecenti, del passato.
C’è, però, un altro tema che resta all’orizzonte, non meno importante. Ed è quello delle alleanze in vista delle prossime elezioni regionali, a cominciare dalla Liguria. È proprio qui, la regione che ha vissuto sulla propria pelle il dramma del crollo del Ponte Morandi, che si stava progredendo verso la strada di una possibile coalizione Pd più Movimento con candidato presidente il giornalista Ferruccio Sansa. Un’ipotesi che ha vissuto sulle montagne russe negli ultimi mesi e che rivela dopotutto la difficoltà della trattativa: prima presa sul serio dalle due forze politiche, poi accantonata (tanto che il Movimento ha pensato a un suo personalissimo candidato), poi tornata nuovamente in auge.
Il punto, però, è che è di fatto impossibile immaginare una campagna elettorale all’indomani dell’inaugurazione del Ponte Morandi costruito da Renzo Piano senza che si parli della questione concessioni autostradali. E cosa potrebbe fare un candidato comune se non cincischiare, rischiando di innervosire una parte della sua coalizione, l’altra o peggio entrambe? Non è un caso dopotutto che quando è emersa la notizia della lettera inviata dalla De Micheli al commissario Marco Bucci, uno dei primi a commentare è stato proprio Giovanni Toti: il governatore ovviamente ha subodorato la rottura definitiva tra le due forze politiche e, dunque, la fine di ogni possibilità di una coalizione a sostegno di Sansa. In altre parole, Toti difficilmente avrà rivali all’altezza alle regionali di settembre.
FINE DEI GIOCHI. E, manco a dirlo, questo discorso va andrà verosimilmente ad incidere sul quadro delle alleanze anche nelle altre regioni e a livello nazionale. Se dovesse naufragare l’esperimento ligure, che senza ombra di dubbio era quello maggiormente in stato avanzato, non ci sarebbe alcuna ragione per proseguire un discorso simile in regioni in cui le due forze politiche hanno mediato poco, e spesso male. Ed ecco che, allora, il tema tocca anche dinamiche nazionali. Parliamo d’altronde di un tema dirimente tanto per i pentastellati quando per i democratici.
LE CARTE SUL TAVOLO. Resta allora un’unica soluzione per evitare una rottura definitiva: che i Benetton vengano estromessi oppure che si giunga a un accordo evidentemente a vantaggio dello Stato e del pubblico. Solo questo potrebbe non solo sanare la rottura oggi più che netta. E, soprattutto, evitare un nuovo inedito scontro: questa volta tra Giuseppe Conte e il “suo” Movimento.