Anche in quest’ultima tornata elettorale i votanti sono scesi. Professore Marco Revelli, storico e politologo, che ne pensa?
“è il segno che la nostra è una democrazia malata. Il dato inquietante è che quasi strutturalmente ormai una parte consistente tra il 40 e il 45% dell’elettorato non va a votare evidentemente insoddisfatto dell’offerta politica che c’è. E questo è un fatto che non si può ignorare”.
Per il centrodestra si può parlare di battuta d’arresto?
“Credo che il centrodestra abbia ottenuto alcuni successi, alcuni scontati come quello di Latina o quello di Imperia. Imperia, in realtà, ha una storia particolare a sé che si chiama Scajola e che si può considerare un emblema preoccupante della situazione italiana. Che una città voti in modo così massiccio una figura che eravamo abituati a considerare più una barzelletta che un uomo politico è preoccupante. Ma in due città fondamentali come Brescia e Ancona sulle quali le destre, Giorgia Meloni in testa, si erano mobilitate perché pensavano di sfondare il fronte avversario l’operazione non è riuscita. Non c’è stato lo tsunami, l’onda nera che ci si poteva aspettare dopo le politiche”.
Come valuta il risultato del Pd. C’è stato l’effetto Schlein?
“Il Pd ha tenuto, per certi versi ha recuperato quanto meno un profilo un po’ più netto anche se l’effetto Schlein in queste amministrative non c’era perché i candidati erano stati scelti dalla segreteria precedente. Ma la cosa che è stata poco segnalata nei dibattiti del giorno dopo è che nei capoluoghi dove si è votato il Pd è quasi sempre o spesso il primo partito, davanti a FdI. Il Pd si è difeso insomma anche se rimangono al suo interno gigantesche ambiguità e ambivalenze su temi qualificanti, dalla guerra all’ambiente. Vedi gli inceneritori, le grandi opere, la Tav. Ambivalenze e ambiguità che la Schlein non ha sciolto. Ha ridato una dignità e un orgoglio ai sostenitori di quel partito ma non una chiarezza di linea politica ancora”.
Perché i 5S non convincono nelle competizioni territoriali?
“È nella tradizione di quel partito una penalizzazione quando il voto è un voto di territorio. E questo dipende da diversi fattori. È un partito non partito, che non è organizzato sul piano territoriale, che stenta a selezionare nei comuni, nelle province e a livello regionale figure capaci di attrarre voti. È un partito non clientelare e questo lo penalizza. È un partito che quando governa scontenta molti centri di potere che poi sono quelli che orientano il voto. Non ha aiutato poi il profilo che Giuseppe Conte ha tenuto negli ultimi mesi. Molto basso e in qualche caso un po’ conciliante nei confronti di questa orrenda destra di governo, come nella trattativa sulla Rai”.
Quale destino vede per la coalizione di centrosinistra?
“Credo che sia la Schlein che Conte siano inconsapevoli dei pericoli che ci gravano addosso. E lo sono in modo asimmetrico. Schlein sa benissimo che l’alleanza con i 5S è indispensabile se si vogliono cambiare alcuni equilibri e però ha problemi all’interno del suo partito. Conte mi sembra tentato sciaguratamente dall’idea della competizione per mantenere o riconquistare i consensi che teme che la gestione più radicale della Schlein gli porti via”.
Ora che il centrodestra si appresta a occupare la Rai, quanto peso avranno i media nell’orientare gli elettori?
“Qui c’è un salto di qualità rispetto all’operazione televisivo-berlusconiana. Berlusconi ha omologato la tv pubblica a quella commerciale. Ha fatto fuori chi lo criticava e attraverso il controllo dell’arma televisiva ha svolto una omologazione dei comportamenti e dei bisogni allineata a una logica di mercato. Qui siamo di fronte a un’operazione più aggressiva e preoccupante. Il ministro dei Beni culturali, Gennaro Sangiuliano, coltiva un progetto di cambio dell’egemonia culturale, di modifica dell’immaginario italiano. Il tentativo è quello di imporre un immaginario esplicitamente di destra, venato di nazionalismo, di suprematismo, di qualunquismo che pende fortemente sui valori di una destra ‘Dio, patria e famiglia’. Che enfatizza il ruolo della forza militare, della muscolarità e di una italianità priva di autocritica sui vizi di questo Paese. Un tentativo che passa traverso l’occupazione della Rai e il controllo dei meccanismi attraverso i quali il ministero della Cultura promuove e finanzia le attività culturali”.