Cerca di far trasparire tranquillità il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Dopo una giornata di audizioni che hanno smontato pezzo per pezzo il suo Def e hanno evidenziato la catastrofica situazione dell’economia italiana, per il responsabile dei conti sembra che nulla sia successo. E anche la revisione del deficit del 2023 al 7,4%, arrivata dall’Istat, “non incide sulle previsioni” del Documento di economia e finanza, secondo Giorgetti.
Tutto bene, insomma. Ma la realtà dice l’esatto opposto. A partire dalla revisione del deficit con il peso del Superbonus che, secondo l’Istat, si attesta al 7,4% nel 2023 e avvicina la procedura d’infrazione Ue. Con un deficit che è il “più alto in Europa”, spiega l’Eurostat. Un problema non di poco conto soprattutto in vista di una manovra che parte con l’handicap. E i soldi per confermare il taglio del cuneo fiscale, la riduzione dell’Irpef a tre aliquote e gli investimenti in sanità saranno difficili da trovare.
Busta paga a rischio nel 2025
Poi c’è la sfilza di audizioni sul Def che gelano il governo. Innanzitutto sul costo del Superbonus: le deroghe concesse dal governo Meloni per la Banca d’Italia hanno fatto lievitare i costi a 77 miliardi solo sul 2023, cinque volte oltre le stime. Conseguenza? Sempre meno soldi per altre misure. Lo dice anche Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di via Nazionale, avvertendo sui rischi di una conferma del taglio del cuneo fiscale: “Un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici”.
Prorogare l’aumento in busta paga sotto i 35mila di reddito porterebbe un punto in più di disavanzo nel triennio 2025-2027, lasciando così il valore “al di sopra del 3% in tutti gli anni”.
Il Def smontato pezzo per pezzo
Ci sono poi gli avvertimenti dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che segnala una carenza di informazioni sulle “politiche invariate, i bonus edilizi e il Pnrr”. Servirà un taglio del debito di 1,8 punti di Pil per ogni anno a partire dal 2028 per raggiungere i livelli del pre-pandemia, intorno al 134%. La Corte dei Conti pensa a un futuro più ravvicinato: per ridurre il debito bisogna fare molto di più, anche sul piano di privatizzazioni inserito nel Def. Per il triennio 2025-2027 valgono solo 0,7 punti e non l’1% come previsto dalla Nadef.
E, per non farsi mancare nulla, sempre la Corte dei Conti avvisa sulla necessità di investire sulla sanità: gli attuali stanziamenti non sono ritenuti sufficienti per evitare il decadimento dei servizi offerti. E se Giorgetti per caso spera in una crescita al di sopra delle attese nel 2024, ci pensa Bankitalia a spazzare via le sue ambizioni: la crescita è “rimasta modesta nei primi mesi dell’anno” e per quest’anno l’attesa è sempre di un +0,6% e non dell’1% previsto dal Def.
Ma per Giorgetti poco importa, la preoccupazione è minima: l’aggiustamento dei conti pubblici “è pienamente alla nostra portata e la riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil nel medio periodo è un obiettivo fondamentale”. E così tutti gli allarmi, a partire da quelli dei sindacati che temono per il Def vuoto e per le decisioni rinviate a dopo le elezioni europee, vengono ignorate. Ma la freddezza di Giorgetti di fronte a questi numeri finirà, siamo certi, in autunno con la manovra.