Giorgia Meloni come sua prima uscita internazionale, in veste di presidente del Consiglio, scelse Bruxelles, con l’obiettivo di smontare la narrazione su di lei e sul suo governo e per dimostrare che “non siamo marziani”. Oggi, a sette mesi circa dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Meloni e i suoi sono tornati a essere marziani e hanno riscoperto nel loro dna il sovranismo delle origini, quando sbraitavano contro l’Europa matrigna.
Il Governo Meloni nel mirino da Parigi a Bruxelles. L’asse con Visegrad non aiuta l’esecutivo italiano
Dal Mes ai balneari, dal no alla direttiva sulle case green alla bocciatura dello stop ai motori tradizionali dal 2035, dai migranti al Pnrr, fino ai diritti degli omosessuali, molteplici sono i conti aperti tra Roma e Bruxelles. E l’Italia della Meloni sempre più isolata, e tagliata fuori dal salotto buono degli Stati fondatori dell’Ue, cerca di uscire fuori dall’angolo stringendo l’asse con i conservatori. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca sono questi ormai i suoi punti di riferimento. Il viaggio a Praga di due giorni fa ha confermato l’ottimo rapporto della premier con il suo omologo ceco Petr Fiala, leader del Partito democratico civico (Ods) e membro dell’Ecr, il gruppo di Bruxelles guidato dalla leader di Fratelli d’Italia.
La necessità di un cambio di passo sui migranti, la riforma del Patto di stabilità, la battaglia per limitare l’impatto sull’automotive della direttiva sui veicoli green, sono tutti dossier su cui Fiala sostiene e spinge le proposte di Meloni. E su cechi e polacchi Meloni può fare affidamento anche nel confronto con Bruxelles in vista del Consiglio europeo di fine giugno. Che rischia di diventare sempre più un banco di prova per le alleanze in vista delle elezioni europee del 2024.
La tesi dell’entourage della premier è che proprio per allontanare i rischi di una possibile alleanza tra le destre e il partito popolare, progetto a cui Meloni lavora già da tempo, si stanno moltiplicando gli attacchi dei macronisti di Renew europe e dei socialisti spagnoli contro i sovranisti. L’obiettivo di Renew è rompere sul nascere il sodalizio tra Ppe e conservatori, diventando ingranaggio imprescindibile di un rinnovato asse pro-europeista tra Popolari e Socialisti europei. La tesi insomma è che il vero obiettivo delle critiche di francesi e spagnoli non siano le forze che governano l’Italia quanto i loro avversari politici interni di estrema destra, come il Rassemblement national di Marine Le Pen (che in realtà è alleata della Lega di Matteo Salvini) e Vox di Santiago Abascal.
Quello che cioè Meloni ha derubricato come un “regolamento di conti interni”. E anche l’offensiva della vicepremier spagnola Yolanda Díaz sulle politiche del lavoro di Roma è derubricata a tentativo di superare a sinistra il premier Pedro Sanchez. Sarà pure una chiave di lettura che può avere le sue ragioni, sarà pur vero che la Francia non ha tutte le carte in regola per farci la morale, ma le critiche arrivate da Parigi e Madrid, su – rispettivamente – migranti e lavoro, toccano due nervi scoperti del governo Meloni e due fronti aperti con Bruxelles.
La Commissione europea non ha apprezzato il pugno duro sui migranti con cui aveva cominciato il governo, autorizzando solo lo sbarco selettivo dei migranti della Ocean Viking a Catania, decisione che aveva costretto la nave a far rotta sulla Francia. Poi la stretta sulle Ong e infine le polemiche per la tragedia del naufragio di Cutro. Così come Bruxelles insiste, a più riprese, su salario minimo e sostegni ai poveri. “Sui migranti Giorgia Meloni è ingiusta, disumana e inefficace”, ha attaccato – dopo l’affondo del ministro Gerald Darmanin di qualche giorno prima – Stéphane Séjourné, capo del partito Renaissance e luogotenente di Emmanuel Macron in Europa. Ma non è finita qui.
Nella stessa giornata in cui Parigi è tornata in trincea sui migranti, la Spagna del socialista Sanchez ha scelto di puntare un bersaglio diverso, quello del welfare. La vicepremier Diaz, battagliera leader del neo partito Sumar, in un dibattito parlamentare ha infatti sottolineato che, con l’ultimo decreto, “Meloni ha mostrato di voler governare contro lavoratori e lavoratrici”, per “tornare” al modello dei “contratti spazzatura”.
Entrambi gli attacchi sono arrivati mentre Meloni era a Praga. Ma se all’Italia sembrano rimasti ormai solo i sovranisti la premier sa anche che non può subire l’isolamento in Europa in silenzio. Ecco perché le speranze di ricucire con Parigi sono affidate alla visita che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, farà in Francia a inizio giugno. Non solo. La Repubblica dà notizia che la diplomazia italiana sta lavorando per un bilaterale a Roma della premier con Olaf Scholz, che a quanto pare ci sarà a breve. Peccato che la Germania sia in prima fila nella riforma del Patto di stabilità contro gli Stati spreconi di denaro europeo come il nostro.
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