A squarciare il velo della propaganda meloniana sulla Manovra ci pensa il leader del M5S, Giuseppe Conte. “State creando le premesse di un grande disastro sociale e state compromettendo la coesione sociale, che è il tessuto connettivo della nostra società”, dice l’ex premier intervenendo in Aula alla Camera e annunciando il voto contrario alla fiducia sulla prima legge di Bilancio delle destre al governo.
Altro che competenti. Alla Camera c’è voluta la fiducia (221 sì e 152 no) per approvare una Manovra piena di errori ed orrori.
“Lo smantellamento del reddito di cittadinanza, unito all’indifferenza per le buste paga e il ricorso massiccio ai voucher significa che avete una visione distorta del mercato del lavoro. La riassumo in un concetto: Schiavismo 2.0”. Una Manovra lacrime e sangue: “Certo qualche applauso vi è arrivato – incalza il numero uno dei pentastellati – vi è arrivato dai falchi europei dell’austerità, quelli che per anni ci hanno costretto a manovre lacrime e sangue che voi stessi applaudivate dai banchi dell’opposizione. Quindi adesso tutto diventa più chiaro, lo slogan conteneva un errore: non ‘siamo pronti’ ma ‘siamo proni’”.
E picchia duro anche il Pd. “Dite che si tratta di una Manovra coraggiosa, noi pensiamo che non sia così: pensiamo sia una Manovra vigliacca. Una Manovra coraggiosa avrebbe richiesto un reale e corposo taglio del costo del lavoro” invece “avete dato un aiuto consistente agli evasori, avete fatto un attacco ai poveri”, dichiara la dem Debora Serracchiani.
Si sveglia anche il Terzo Polo che pure non aveva fatto mistero di flirtare con la premier. “Una legge insensata. Sono molto deluso, tu arrivi, la prima donna, hai fatto le tue battaglie, a me piaceva, e poi fai una Manovra che nemmeno Berlusconi nei giorni peggiori. Non c’è nulla, piatta”, dice Carlo Calenda. Ma non è finita qui. Il governo fino all’ultimo minuto conferma il suo essere approssimativo e pasticcione oltre che cinico.
Compaiono due errori in altrettante tabelle allegate alla Manovra, sulla quale la Camera era chiamata a votare ieri sera la fiducia (che ha avuto il via libera con 221 sì e 152 no). L’emendamento per inserire la Carta cultura giovani aveva di fatto escluso dalla Manovra i fondi per l’acquisto di Villa Verdi da parte dello Stato, per la cui salvezza un mese fa si era impegnato il ministro Gennaro Sangiuliano.
Non si capisce se per errore o cos’altro. Fatto sta che il governo, a poche ore dalla maratona notturna in Aula con il voto sulla fiducia sulla legge di Bilancio, ha inserito la residenza che fu del compositore fra le esigenze indifferibili: così sono stati spostati 20 milioni di euro dal fondo del ministero dell’Economia a quello della Cultura, modificando una delle tabelle allegate alla Finanziaria. “Una forzatura”, protestano le opposizioni, dopo l’ennesimo pasticcio.
Prima ancora c’era stato il refuso che eliminava il tetto al contante assieme alla norma sul Pos. O l’emendamento da quasi mezzo miliardo per i Comuni, senza copertura, che dopo i rilievi della Ragioneria di Stato ha costretto a un passaggio supplementare in commissione per lo stralcio. Una confusione che, nella maggioranza, il deputato di FdI, Federico Mollicone, attribuisce al Tesoro e alla stessa Ragioneria.
“Nelle due notti in commissione Bilancio non c’era nessuno dei funzionari del Mef e della Ragioneria: dovevamo mandare delle mail con risposte che arrivavano la mattina dopo. C’è stato un caos amministrativo e non politico”, ha detto Mollicone. Il secondo ritocco riguarda lo stanziamento di 400mila euro (sempre risorse dell’esecutivo), per contrastare la peste suina in Piemonte, su cui invece in commissione non si era trovato l’accordo politico per usare il fondo parlamentare.
La svolta, raccontano le opposizioni, è arrivata per il pressing dei capigruppo di Lega e FdI, Riccardo Molinari e Tommaso Foti, ed è stata messa nero su bianco in due emendamenti del governo alle tabelle, da approvare in Aula dopo la votazione sulla fiducia, che riguarda solo il testo della legge. “È una forzatura: recupera dopo la fiducia un emendamento di FdI e uno della Lega”, attaccano dal Pd, sostenendo che l’acquisto di Villa Verdi, “si riferisce a un emendamento già soppresso” in commissione.