Dopo 17 anni e quattro legislature alle spalle pensava che gli fosse già dovuto. E invece dovrà aspettare fino a 60 anni – età minima per chi ha almeno due mandati parlamentari completi all’attivo – prima di intascare l’agognato vitalizio. Non è andata bene ad Angelino Alfano, ex delfino di Silvio Berlusconi, messosi in proprio col Nuovo Centrodestra, naufragato non appena conclusa l’operazione stampella del Governo Renzi prima e Gentiloni poi. Zitto zitto, l’ex ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri, congedadosi dalla Camera l’anno scorso, ha deciso di presentare ricorso insieme all’omonimo azzurro Gioacchino Alfano e ai dem Andrea Rigoni e Andrea Martella, quest’ultimo attuale sottosegretario all’Editoria, tutti parlamentari dal 2001 al 2018.
Non appena scoperto, infatti, che il nuovo regolamento di Montecitorio, in vigore dal 2012, li avrebbe costretti ad attendere il 60esimo compleanno prima di di incassare la sudata pensione, i 4 irriducibili del vitalizio si sono affidati all’avvocato ed ex deputato di Forza Italia, Maurizio Paniz, per passare alle carte bollate. Rivolgendosi prima al Consiglio di giurisdizione (primo grado) e poi al Collegio d’appello (secondo grado) della Camera. Rimediando, però, una doppia bocciatura.
ONOREVOLI RICHIESTE. Ma cosa lamentavano dinanzi agli organi giurisdizionali di Montecitorio? Nel ricorso al Collegio d’appello “per la determinazione dell’età minima di accesso al trattamento pensionistico”, che La Notizia ha potuto visionare, Alfano & Co chiedevano, in via preliminare, la disapplicazione dell’odiato Regolamento del 2012, nonché di quello del 1997 (“novellato nel 2007”), a loro avviso incostituzionali “per violazione del principio del legittimo affidamento”. In via principale, “di beneficiare dello status individuato dai Regolamenti del 1968 e del 1994, che avrebbe comportato la corresponsione del vitalizio all’età di 48 (compiuta da Angelino l’anno scorso, ndr), o 51, o 53 anni”, in rapporto all’anzianità maturata da ciascuno dei ricorrenti. In subordine, “l’erogazione del predetto emolumento al compimento del 53esimo anno di età”. Oppure, “in ulteriore subordine”, di beneficiare “della disciplina individuata, in via giurisprudenziale additiva, dagli organi di tutela della Camera”, che per tutti i ricorrenti avrebbe comportato la corresponsione del vitalizio a 58 anni.
Richiesta, quest’ultima, che richiama una pregressa sentenza del Collegio d’Appello che nel 2018, nella sua precedente composizione, aveva stabilito, per gli ex deputati con anzianità contributiva superiore ai 10 anni (soglia che nel Regolamento del 2012 abbassa l’età pensionabile da 65 a 60 anni), che “l’età anagrafica minima di 60 anni” sia “ridotta di un anno” per ogni legislatura completa ulteriore alla seconda. Di quella decisione – di cui La Notizia diede conto il 12 ottobre 2018 – aveva beneficiato, tra gli altri, l’ex deputato di An, poi transitato in Futuro e Libertà, Italo Bocchino, che, in forza delle quattro legislature parlamentari all’attivo, si era visto riconoscere due anni di sconto sull’età pensionabile (da 60 a 58). Il Collegio d’Appello, presieduto da Andrea Colletti (M5S), ha rigettato le richieste di Angelino & Co. Dalla questione di incostituzionalità sollevata dai ricorrenti, allo stesso ricorso “perché infondato, sia in fatto che in diritto”, confermando la sentenza del Consiglio di giurisdizione. Secondo l’organo giudicante di secondo grado, infatti, bene ha fatto il Consiglio di giurisdizione ad applicare ai ricorrenti il Regolamento del ‘97 e non quello del ‘94, “in ragione dell’inizio del loro mandato parlamentare, per la prima volta, nel 2001”.
La disciplina del ‘97, peraltro, “già prevedeva ‘a regime’ che l’età anagrafica minima per ottenere il trattamento vitalizio non potesse essere comunque inferiore ai 60 anni”. Né Angelino & Co possono richiamare la “normativa transitoria” del 2012 (che avrebbe permesso uno “sconto” sull’età), “essendo quest’ultima funzionale a garantire un trattamento più benevolo per i soli deputati che abbiano iniziato a ricoprire la relativa carica in epoca anteriore alla XIV legislatura (ossia al 29 maggio 2001)”. Infine, sostiene il Collegio, l’idea di richiamare la norma del Regolamento del 1994 – che consentirebbe, ancora oggi, l’erogazione del vitalizio indipendentemente dall’età e a fronte dello svolgimento di quattro legislature o di più di vent’anni di contribuzione non essendo stato abrogato dalla riforma del 2012 – non ha senso, perché non si considera l’abrogazione “per incompatibilità (tacita o implicita)” e “per rinnovazione della materia”. Con buona pace di Angelino Alfano & Co. Che il vitalizio alla fine lo incasseranno tutti. Ma non prima di aver spento sessanta candeline.