Che dire della morte di Berlusconi? Sembrava eterno.
Alda Guidi
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Gentile lettrice, alla scomparsa di un uomo divisivo e che tuttavia ha segnato la Storia del nostro Paese nel bene o nel male, penso che l’unico atteggiamento onesto, per me che l’ho conosciuto personalmente, sia quello del Manzoni verso Napoleone quando, nel Cinque maggio, rifiutò sia il “servo encomio” che il “codardo oltraggio”. “Ei fu… Ai posteri l’ardua sentenza”. Berlusconi era l’editore del Tg5 per cui lavoravo. Sapeva bene che le mie idee politiche cozzavano con le sue, ma questo non gli precluse di esprimermi più volte stima professionale. Ricordo che a un G7 in Francia, dopo la conferenza stampa lo vidi fendere la folla di giornalisti che lo attorniavano bramosi di una stretta di mano, per raggiungermi laggiù nell’ultima fila, dove me ne stavo in disparte coi miei pensieri: “Di Mizio, che piacere vederla qui. Com’è andata la conferenza stampa?” mi chiese con quella vitalità cui nessuno era indifferente. Oggi sono lacerato, come allora, tra l’ostilità alla sua opera politica e l’indubbia simpatia umana, benché sapessi che lui usava quella capacità empatica come arma di conquista. Putin ha detto di lui: “Ha avuto un privilegio: diceva sempre quello che pensava”. Forse non sempre invero. Un tempo credevo che il degrado della nostra società fosse colpa della sua tv trash e della sua politica. Ma poi ho visto che il degrado è avvenuto in tutti i paesi europei e ho capito che nasce dal modello americano, iperconsumismo, società opulenta come la chiamarono Galbraight e Marcuse. Almeno questa accusa al Cavaliere sia risparmiata.
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