Che quello della giustizia nel nostro Paese sia un argomento spinoso è cosa nota. Per anni la dialettica maggioranza/opposizione su una possibile riforma del settore si è incentrata su leggi ad personam o contra personam, su veti e controveti, sul potere (o strapotere) della magistratura piuttosto che sulle carenze e i vuoti della legislazione in materia. Il governo giallorosso non fa eccezione e non stupisce che su un tema delicato (e annoso) come quello della ragionevole durata dei processi, strettamente correlato a quello della prescrizione, sia in atto da giorni una guerra a colpi di ultimatum con Luigi Di Maio da una parte che blinda l’entrata in vigore dal 1 gennaio della riforma della prescrizione senza possibilità di discussione e il Partito democratico che non arretra dalle sue posizioni atte a garantire la certezza di un termine per il processo penale.
A intervenire con toni inequivocabili è il capogruppo dem al Senato Andrea Marcucci: “Forse Di Maio non ha capito la gravità della situazione. Sulla prescrizione, non faremo passi indietro. Non si può accettare una norma anticostituzionale come il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Non si possono sottoporre i cittadini a processi infiniti. Ci sono diverse soluzioni tecniche da affrontare ora, consiglio al capo del M5s di smetterla con le provocazioni”. Ad aleggiare su tutto è lo spettro della crisi di governo, che stavolta condurrebbe diritti alle urne, e non è il solito Matteo Renzi a tirarle in ballo ma il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio: “Non abbiamo paura delle elezioni. Basta ricatti dai 5 Stelle”.
Un deja vù, sembra di sentire il Salvini di quest’estate in versione Papeete. E il capo gruppo di Italia Viva al Senato, Davide Faraone, non poteva che rincarare la dose “Se il tema è prescrizione o morte, allora morte sia”. Aut Caesar aut nihil. Del resto i renziani martedì in aula non hanno partecipato al voto sulla richiesta d’urgenza per il ddl dell’azzurro Costa e hanno fatto sapere che non escludono di appoggiare la proposta di Forza Italia, ora all’esame della commissione Giustizia di Montecitorio, che mira proprio ad abrogare la riforma Bonafede.
Si rivolge direttamente al Guardasigilli il suo predecessore Andrea Orlando: “Ora tocca al ministro Bonafede proporre delle soluzioni perchè quelle fino a qui avanzate non garantiscono certezza dei tempi processuali. Noi abbiamo fatto proposte che ha respinto. Ci dica se ne dobbiamo fare altre noi o intende farne lui. La questione inizialmente era risolta nel senso che sarebbe scattato un disciplinare solo nel caso in cui un ufficio avesse più del 20% dei procedimenti in ritardo: abbiamo fatto notare che non è una consolazione per uno che aspetta un processo da venti anni sapere di essere perseguito da un ufficio che ha solo il 19% di ritardi. Abbiamo controproposto un’ipotesi di prescrizione processuale come estrema ratio e dopo soltanto l’intervento del procuratore generale e ci è stato detto di no – continua il vice segretario dem – E’ stata controproposta una sorta di legge Pinto al penale che anche in questo caso, a parte i costi stratosferici, non garantisce una fine del processo. Adesso Bonafede ci deve dire se delle nuove proposte intende farle lui altrimenti le faremo noi. La prescrizione che si interrompe al primo grado deve essere accompagnata con la garanzia di tempi certi per il processo e né le multe né i disciplinari garantiscono queste cose”. La partita resta aperta.