Non si contano più le uscite critiche che il Fondo Monetario Internazionale ha fatto nei confronti del Governo italiano in questi mesi. “L’Italia non può fare deficit. La Manovra va in direzione opposta ai nostri suggerimenti”, ammoniva già a ottobre l’istituto presieduto da Christine Lagarde. Critiche su critiche, dunque. Sulla scia di quanto fatto dall’Ue, dai grandi istituti bancari e, last but not least, dalla Bce. Un atteggiamento di chiusura, quello riservato all’Italia. Nonostante versiamo al Fondo Monetario Internazionale fior fior di quattrini per le ragioni più disparate. Questo è il quadro che emerge, infatti, dal rapporto appena consegnato in Parlamento dal ministero dell’Economia. All’interno del dossier, infatti, c’è un intero capitolo dedicato ai “rapporti finanziari” tra il nostro Paese e l’istituto internazionale.
Partiamo dalla nostra quota di finanziamento: a seguito di una legge di cui forse pochi sono a conoscenza ma risalente al 2011, dal 2016 “la quota dell’Italia è passata da 7.882,3 a 15.070 milioni di Dsp”. Cosa sono i Dsp? La sigla sta per “Diritti speciali di prelievo” e, per così dire, è la valuta propria del Fondo Monetario Internazionale. Più precisamente, come recita lo stesso rapporto, è “una componente delle riserve ufficiali che dà il diritto di prelevare le valute liberamente utilizzabili dalle banche centrali di riferimento”. A comporre tali “riserve ufficiali” sono appunto gli Stati membri. Tenendo conto che ad oggi 1 Dsp equivale a 1,22 euro, ecco che la quota italiana ammonta a circa 18,3 miliardi. Ma non è finita qui.
A causa della crisi economica, specifica ancora la relazione, l’Italia si è impegnata a contribuire per altri programmi sponsorizzati e portati avanti dal Fondo. Uno di questi mira a garantire prestiti per i cosiddetti “Lic”. Parliamo cioè dei Low-Income Countries, i Paesi a basso reddito. Progetto più che nobile (anche se i prestiti, poi, non sono certo poco onerosi per questi stessi Paesi che diciamo di aiutare…), ma che ha portato l’Italia a garantire un nuovo contributo di 800 milioni di Dsp (972 milioni di euro), il cui tiraggio è stato concluso, informa il ministero, proprio a settembre. Ma non basta: a questo, infatti, si aggiungono nuovi sussidi pari a 22,1 milioni di Dsp concessi, però, utilizzando “le risorse del Ministero dell’Economia già a disposizione presso il Fondo”. Finita qui? No. Perché l’Fmi “ha stimato che per far fronte alla crescente domanda di prestiti da parte dei Paesi a basso reddito avrebbe avuto bisogno di risorse a prestito oltre il 2016”. Ed ecco allora la nuova richiesta, che per l’Italia ha significato un ulteriore contributo di circa 480 milioni di euro.
Ma non è tutto. Perché se i Dsp per legge non vengono conteggiati nella finanza pubblica, il discorso cambia per i contributi finalizzati al mantenimento dell’istituto. Parliamo della cosiddetta “assistenza tecnica” garantita dal nostro Paese. I programmi cui l’Italia partecipa sono diversi: c’è ad esempio quello per la ricostruzione dell’Iraq per il quale abbiamo versato 300mila euro; il “Financial Sector Stability Fund” che mira a potenziare la stabilità finanziaria dei Paesi africani, per cui l’Italia ha contribuito con 3,1 milioni nel 2017. Progetti tutti assolutamente nobili. Ma che sono costati all’Italia, in totale, altri 7,7 milioni di euro. Soldi per progetti portati avanti dal Fondo Monetario che, nel tempo libero, si diletta a criticare i propri partner e finanziatori.