Finalmente Alitalia è sbolognata ai tedeschi, così cesseranno i salassi allo Stato per mantenere l’ex compagnia di bandiera.
Ezio Montini
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Gentile lettore, sono ahimè così adulto da ricordare quando Alitalia era una delle migliori compagnie del mondo, talché i suoi dipendenti, ben remunerati da Pantalone, si davano grandi arie. Ricordo l’alterigia, a inizio anni ’90, di un equipaggio atterrato ad Addis Abeba: a quel tempo eravamo l’unica compagnia che collegava l’Etiopia al mondo. Ero lì con altri colleghi per i colloqui di Craxi con Menghistu e, nei saloni sfarzosi dell’hotel Hilton, i piloti e le hostess (più numerose dei passeggeri) si sentivano regali e trattavano noi e i camerieri con sufficienza. Ciò detto, non gioisco della perdita di Alitalia. È un pezzo di Paese che va all’estero. Vedo il ministro Giorgetti e i giornali di destra esultare: “Fine di un incubo: ci siamo liberati di Alitalia” strilla Libero. Però dimenticano che nel 2008 fu il loro capo Berlusconi a bloccare la vendita ad Air France e a consegnare l’aviolinea a Colaninno e ai “patrioti”, che lasciarono i debiti allo Stato, s’intascarono i crediti e la fecero di nuovo fallire, cosicché Pantalone ha pagato per altri 16 anni. Il nostro governo è così “patriota” che ha anche approvato la cessione di Tim, azienda strategica in possesso di dati sensibili, al fondo americano Kkr, mentre già Vodafone è inglese, Iliad è francese, Fastweb è svizzera e Wind Tre è cinese. Ma Tim è un caso grave, perché Kkr è in odore di contiguità con la Cia, tanto che l’ex capo della Cia, il gen. Petraeus, ne è oggi il presidente. Serve dire altro?
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