Il primo passo è la riflessione aperta sulle nuove regole del Movimento. Ma, dopo i deludenti risultati elettorali in Abruzzo e Sardegna, la vera svolta si gioca sul ritorno alle battaglie storiche dei Cinque Stelle. Come d’altra parte auspicato dal padre (co)fondatore, Beppe Grillo, “dobbiamo noi influenzare Salvini sui nostri temi”. Quelli che, il 4 marzo dell’anno scorso, hanno convinto 11 milioni di elettori a votare M5S. Ed è proprio da quei temi che ora i pentastellati puntano a ripartire. A cominciare dal vecchio cavallo di battaglia dell’acqua pubblica. “Un diritto umano universale”, garantito a tutti “al giusto prezzo e senza che si speculi sulla sua gestione”, recita il mantra grillino rilanciato nei giorni scorsi dal Blog delle Stelle. Come del resto hanno decretato 27 milioni di italiani con il referendum del 2011, rimasto però in molti casi lettera morta.
Otto anni dopo la battaglia riparte dalla proposta di legge a prima firma della deputata M5S, Federica Daga (leggi l’intervista), attualmente all’esame della commissione Ambiente di Montecitorio (il 25 marzo è previsto l’inizio dell’esame in Aula). Un testo, peraltro, la cui gestazione iniziò proprio a ridosso della consultazione del 2011, con una proposta di legge di iniziativa popolare alla quale contrbuì anche il nascente Movimento Cinque Stelle. Che la presentò nel 2013 quando varcò per la prima volta le soglie de Parlamento, riproponendola anche nel corso dell’attuale legislatura.
La partita è aperta: in commissione prosegue l’esame degli emendamenti. Compresi alcuni a firma M5S, nati dalla necessità di aggiornare un testo che ha già spento dodici candeline. Ma l’obiettivo non cambia. “Riconoscere il diritto universale dell’acqua sottraendola al controllo dei privati e affidando la gestione esclusivamente al pubblico, come stabilisce il Contratto di Governo”, assicurano il capogruppo e il segretario dei Cinque Stelle in commissione Ambiente, Ilaria Fontana e Antonio Federico. Il modello è quello dell’azienda speciale, un ente pubblico senza fine di lucro, con qualche aggiustamento. Un cambio di rotta radicale rispetto al sistema delle società per azioni largamente diffuso oggi, che punta, attraverso “lo stop alla redistribuzione dei dividendi”, alla “destinazione di tutti gli utili al potenziamento del servizio” assicurando “i livelli occupazionali” attuali.
Ma che numeri ballano intorno al business dell’acqua? Li ha messi insieme il Blog delle Stelle. Per 45 milioni di italiani “la gestione è in mano a enti di diritto privato, ovvero società per azioni”. Indipendentemente dal soggetto che detiene la maggioranza (anche se pubblico), le azioni possono essere cedute “anche a soggetti privati, fondi di investimento o società straniere”. Tra il 2010 e il 2016, le 4 principali multiutility del Paese “si sono spartite” dividendi per “2 miliardi e 983 milioni”. Una cifra che permetterebbe di sostituire “19.886 chilometri” di tubature ed “eliminare un quinto” dell’“amianto dalla rete idrica italiana”. Aumentare gli investimenti “significa risolvere il problema delle reti colabrodo”, aggiunge il Blog, e “poter ridurre le bollette anche fino al 30%”.
Un grande business che conviene solo ai privati. Dalla Calabria alla Sicilia fino alla Puglia, ecco tutte le falle del sistema.
Sembra una battuta, ma il sistema della gestione delle reti idriche fa acqua da tutte le parti. C’è l’azienda in odor di mafia in Sicilia. E quella pugliese che dovrà restituire agli utenti quasi 14 milioni per i mancati investimenti programmati sulla rete. Per non parlare dell’incredibile caso della Calabria, dove il socio francese della società mista che eroga il servizio ha ceduto il suo pacchetto azionario ad una banca irlandese, con la quale ora la Regione dovrà trattare.
Nella giungla del sistema di partecipate che gestiscono l’acqua che scorre dai rubinetti nelle case degli italiani succede di tutto. Tra i casi più recenti c’è quello della Sorical, che gestisce il servizio idrico in 385 Comuni della Calabria. Una “misteriosa vicenda” di recente denunciata dal deputato M5S, Giuseppe D’Ippolito. “Le quote corrispondenti al 46,5% di Sorical sono del socio privato Acque di Calabria, controllata per intero dalla multinazionale francese Veolia – ha spiegato -. A marzo 2015, manifestò la volontà di cedere le proprie azioni al prezzo simbolico di un euro”.
Ma in occasione del piano di ristrutturazione del debito, Veolia le ha cedute a un istituto bancario irlandese: la Dpefa, salvata nel 2014 dopo essere finita nella bufera dei mutui subprime. Ma non è tutto. “Il relativo contratto non è consultabile – rivela D’Ippolito -. La Regione Calabria, proprietaria del 53,5% delle quote di Sorical, ha costituito un’autorità di 40 Comuni che dovrà decidere a chi affidare il servizio in questione. Ora Sorical, che vorrebbe cedere le quote di Veolia ai Comuni, si ritrova a trattare con una banca irlandese, sulla base di un accordo pregresso che neanche conosce”. Morale: “Ecco che cosa significa far gestire l’acqua alle multinazionali”, chiosa D’Ippolito sulla singolare vicenda.
Basta attraversare lo Stretto che separa la Calabria dalla Sicilia et voilà. Il Tar di Palermo ha respinto nei giorni scorsi la richiesta di sospensiva dell’interdittiva antimafia, emessa lo scorso novembre dal prefetto di Agrigento, Dario Caputo, nei confronti di Girgenti Acque, la società che gestisce il servizio idrico in gran parte dei Comuni della provincia. Il provvedimento che impone l’alt alla società, attualmente gestita da tre commissari straordinari, scaturisce dai presunti legami con ambienti vicini alla criminalità organizzata del suo vertice.
Nel gennaio dell’anno scorso l’ex prefetto della città dei templi ricevette un avviso di garanzia, con l’accusa di associazione a delinquere e corruzione, insieme ad altre 70 persone, per avere favorito (è l’ipotesi dell’accusa) la società che gestisce il servizio idrico salvandola dall’interdittiva. “Il provvedimento del Tar – tira il fiato il sindaco di Sciacca, Francesca Valenti, presidente dell’Assemblea territoriale idrica – rappresenta un importante passo avanti verso il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua”. E non finisce qui. Basta rientrare sul continente e varcare i confini della Puglia per imbattersi in un altro caso singolare.
Tra il 2014 e il 2015, la Acquedotto Pugliese avrebbe dovuto assicurare una serie di investimenti programmati nel Piano industriale. Interventi mai fatti. Per questo la società per azioni è stata sanzionata dall’Autorità idrica regionale e ora dovrà restituire 13,7 milioni di euro agli utenti (quasi un milione in tutta la Puglia). Esattamente la somma sborsata in bolletta come maggiorazione di tariffa proprio per coprire la realizzazione degli interventi infrastrutturali. E meno male che il privato era garanzia di efficienza.