Bastassero le firme sui decreti di Governo e Regioni, l’emergenza siccità in Italia sarebbe risolta da tempo. Un Paese ricchissimo d’acqua come il nostro rischia invece di morire di sete. Se il Po è in secca dal Piemonte all’Emilia Romagna, molti laghi e fiumi minori si stanno letteralmente prosciugando. A Parma e Piacenza lo Stato ha riconosciuto la situazione di calamità naturale, mentre nel Lazio un identico provvedimento è stato preso dal Governatore Nicola Zingaretti. Con il mese di giugno la criticità ha assunto livelli eccezionali e diversi Comuni laziali hanno trasmesso all’Agenzia Regionale di Protezione Civile richieste di approvvigionamento di acqua ad uso potabile e zootecnico, a causa della carenza delle proprie sorgenti. Al contempo – secondo la Regione Lazio – i gestori del servizio idrico integrato hanno prelevato oltre misura dai siti affidatigli in concessione, e la concomitanza di tali elementi “ha costituito uno scenario sempre più preoccupante”. Una critica di fatto all’amministrazione capitolina di Virginia Raggi e all’ex municipalizzata Acea, che hanno risposto con un provvedimento inedito, il contingentamento dell’acqua distribuita attraverso i nasoni, le celebri fontanelle prese d’assalto in questi giorni di caldo infernale.
Coltivazioni ko – Chi non ha di fronte un rischio ma la certezza di dover pagare un prezzo altissimo alla mancanza di acqua è invece l’agricoltura e la zootecnia. Le associazioni di settore, a partire dalla Confagricoltura, stanno ponendo il problema con forza all’attenzione dell’Esecutivo. A nessuno sfugge che di risorse pubbliche ce ne sono poche, ma le toppe impegnate fino ad oggi sfiorano il senso del ridicolo. A Parma e Piacenza, per dire, il primo stanziamento per lo stato di emergenza è di appena 8,5 milioni. Se non fosse che parliamo di acqua che non c’è, si potrebbe fare un paragone con l’oceano da svuotare utilizzando un cucchiaino. Per comprendere meglio quanto gli interventi previsti siano distanti dai danni reali solo all’agricoltura si può utilizzare una stima appena fornita dalla Coldiretti, secondo cui le anomalie climatiche della prima parte del 2017 hanno già provocato perdite per quasi un miliardo di euro. Soldi che in parte dovranno essere tirati fuori dalle famiglie. Tra breve infatti portare sulle nostre tavole ortaggi, frutta, cereali e pomodori potrebbe costare di più. Così come c’è da attendersi per il prezzo del latte e dei formaggi, a causa della carenza di fieno per l’alimentazione degli animali. A questo va aggiunto il problema di come affrontare gli incendi. Terra e vegetazione secche stanno facendo aumentare i roghi, soprattutto nelle zone boschive. Basti pensare che bel solo mese di giugno appena concluso gli incendi su tutto il territorio nazionale sono stati il 300% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Una situazione molto grave, insomma, enormemente complicata dall’inadeguatezza di molte reti idriche, non solo nel Mezzogiorno, dove il caso della Puglia resta emblematico per il livello di dispersione dell’acqua nelle tubature. Battaglie più demagogiche che di principio, come quella sull’acqua pubblica, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, hanno ridotto gli investimenti privati e la manutenzione è andata a farsi benedire. Con un risultato che adesso è sotto gli occhi di tutti: o si torna a investire in invasi e acquedotti efficienti o presto o tardi pagheremo un conto esponenzialmente più salato rispetto a quanto serva oggi. Un’arsura per la quale non sarà facile trovare nemmeno un sorso d’acqua.
Servono subito 20 miliardi per invasi e dighe
Molti non lo sanno, ma l’infinita migrazione dal continente africano verso l’Europa ha tra i suoi motivi la fuga dalla siccità. E questo nonostante l’Africa abbia grandi giacimenti idrici, a differenza di una credenza tanto errata quanto diffusa. Quello che manca in tutta l’area sub sahariana sono invece le infrastrutture per approvvigionarsi dell’acqua: le dighe, gli acquedotti, i bacini. Una situazione non molto distante da quella italiana, dove la riduzione e il concentrarsi delle precipitazioni stanno facendo emergere quanto siamo a corto di invasi. A fare un po’ di conti sono state ieri insieme l’Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica, e #italiasicura, la Struttura di Missione di Palazzo Chigi che si occupa dello sviluppo delle infrastrutture idriche e del dissesto idrogeologico.
Libro dei sogni? – La situazione che emerge è davvero da terzo mondo, e per affrontarla servirebbe subito un programma di investimenti da 20 miliardi in 20 anni. L’obiettivo è di realizzare oltre 2.000 nuovi piccoli e medi invasi per contenere l’acqua quando c’è e distribuirla per i diversi usi in caso di necessità, in particolare all’agricoltura e in caso di nubifragi per contenere le alluvioni. Opere per le quali sono già cantierabili 218 progetti, da Nord a Sud, per un investimento totale di tre miliardi. “Dobbiamo mettere fine ad un paradosso tutto italiano, siamo ricchi di acqua ma non la conserviamo” ha detto il capostruttura di #italiasicura Erasmo D’Angelis. “La siccità – ha spiegato – si combatte con infrastrutture adeguate in grado di conservare una parte dell’abbondanza di piogge che cadono sulla nostra penisola, 306 miliardi di metri cubi in media l’anno, il record europeo, di cui utilizziamo solo l’11%”. I consorzi di bonifica – ha detto il presidente dell’Anbi, Francesco Vincenzi – sono al fianco del Paese per vincere la sfida della prevenzione anche sulla risorsa idrica”. Di sicuro – ha aggiunto il direttore generale dell’Anbi, Massimo Gargano – i cambiamenti climatici e le differenti modalità degli eventi atmosferici, più violenti e concentrati nel tempo e nello spazio, obbligano a nuove scelte infrastrutturali, soprattutto al CentroNord, fin qui abituato ad un clima mediterraneo, che ormai non esiste più.