Accordicchio Ue sui migranti. Un altro flop del governo Meloni

Al Consiglio Affari interni del Lussemburgo Piantedosi prima si oppone e poi accetta l'intesa al ribasso sui migranti.

Accordicchio Ue sui migranti. Un altro flop del governo Meloni

Tre anni fa, eravamo nel settembre del 2020, Ursula von der Leyen presentò una bozza di un nuovo “patto sulle migrazioni” che avrebbe dovuto “azzerare Dublino”. Nelle intenzioni avrebbe dovuto alleggerire la penalizzazione dei Paesi di primo approdo dei migranti (di cui l’Italia è interprete principale nel Mediterraneo). Ieri a Lussemburgo il Consiglio Affari interni ha provato a tirare le file di quello che la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, ha definito “una proposta equilibrata sul tavolo, con molto sostegno”. L’orientamento è sempre lo stesso: rafforzare i meccanismi di respingimento dei migranti, esternalizzare le frontiere, minando di fatto il diritto di asilo.

Al Consiglio Affari interni del Lussemburgo Piantedosi prima si oppone e poi accetta l’intesa al ribasso sui migranti

Il patto si sviluppa su due piani principali: la definizione di nuove politiche comuni di controllo delle frontiere europee, che potrebbero prevedere anche la detenzione di minori negli hotspot Ue, sul modello greco e il raggiungimento di un meccanismo europeo di ricollocamento dei richiedenti asilo, per cui agli Stati è data la possibilità di non accettare migranti ricollocati dai paesi di primo ingresso, pagando una quota per ogni persona non accolta.

“Entrambe sono proposte che non risolveranno in alcun modo le croniche carenze del sistema di asilo europeo – ha sottolineato Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia su migrazione e asilo – Al contrario esprimono chiaramente l’obiettivo di blindare l’Europa. Quanto poi alla proposta in discussione per il controllo delle frontiere, siamo di fronte a nient’altro che all’esatta copia del modello disumano e fallimentare applicato fino ad oggi nelle isole greche, che finirà solo per rinchiudere altri rifugiati, bambini compresi, in centri simili a prigioni, negando il loro fondamentale diritto di asilo nel territorio dell’Unione”.

Per Oxfam “stiamo assistendo anche al tentativo degli Stati Ue di aumentare le pressioni sui Paesi terzi, ad esempio in nord Africa, a cui affidare il controllo delle frontiere – aggiunge Capitani –. Un sistema che come nel caso dell’accordo Italia-Libia, non solo non blocca gli arrivi (da gennaio ad oggi sono oltre 51.000), ma perpetua la violazione dei diritti umani fondamentali delle persone, comprese donne e minori, detenute nei lager libici e vittime di torture e soprusi indicibili”. Come spiega Matteo Villa di ISPI la cosa che sembra interessare di più all’Italia è la riforma delle “regole Dublino”.

L’Italia si impegna – spiega Villa – a continuare a ricevere la gran parte delle domande d’asilo, ma solo se gli altri Paesi europei ci danno una mano, “prendendosi” i richiedenti in caso di alti arrivi. Solo che nonostante la narrazione l’Italia continua a accogliere e proteggere molte meno persone della media Ue perché se ne vanno dal nostro territorio e nonostante le regole Dublino non vengono rimandati indietro. ISPI stima su 700mila stranieri sbarcati in Italia e usciti in Paesi Ue solo 35mila (il 5%) sia stato rimandato in Italia come prevederebbero le regole. Ciò accade perché i migranti non fanno domanda d’asilo, non dichiarano il loro Paese d’ingresso oppure sono intercettati dopo i 12 mesi previsti dalle norme. “Insomma, noi italiani adesso all’Europa stiamo chiedendo solidarietà sulla redistribuzione, ma in realtà non ci serve – spiega Villa -. Ci servirebbe una mano sulla prima accoglienza, che costa. Dunque soldi, non trasferimenti.”

L’intensificazione nelle identificazioni voluta dall’Ue renderà più facile determinare il Paese d’ingresso (quindi l’Italia che se ne dovrebbe fare carico) mentre le procedure più rapide senza velocizzare i rimpatri renderanno più rapido il “parcheggio” degli stranieri irregolari. Paradossalmente, l’Italia avrebbe dovuto preferire una fumata nera. Alla fine arriva l’accordo, ma passa il principio della solidarietà obbligatoria anziché dei ricollocamenti obbligatori come volevano Meloni e Piantedosi per l’Italia. Di doveri umanitari, ovviamente nemmeno l’ombra.

 

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