A Roma e nel Lazio, quando va bene, il lavoro cresce. Sì, ma solo quello precario e di breve durata. Lo dimostra il report diffuso da Cgil Roma e Lazio che fotografa una situazione di forte emergenza. Basti pensare che nel Lazio sono state 109mila (99mila sono nella Capitale) le persone che hanno sottoscritto un contratto di lavoro durato un solo giorno. Sì, un solo giorno. Un dato impressionante soprattutto se confrontato sia con le altre province laziali, che registrano percentuali che si aggirano tra il 4% e il 10%, sia con quelli nazionali. A Roma, infatti, il 48% dei contratti attivati – per un totale di 694.363 – dura 24 ore, mentre la media nazionale si aggira intorno al 13%. A Roma, sono il 7% i contratti che durano due giorni, il 13% quelli che durano dai 4 ai 30, mentre sono appena il 12% quelli a tempo indeterminato.
A Roma il 48% dei contratti di lavoro sottoscritti non supera le 24 ore. Contro una media nazionale del 13%
“Come la sanità anche il lavoro è da codice rosso nel Lazio”, commenta il segretario generale della Cgil Roma e Lazio Natale Di Cola. “La precarietà continua a crescere anno dopo anno a causa delle leggi nazionali sbagliate, ma anche per l’immobilismo delle amministrazioni territoriali, delle forze politiche e di troppe imprese che pensano solo ai profitti. Ci mobiliteremo a tutti i livelli”, prosegue Di Cola commentando il report, “perché è inaccettabile e inspiegabile che nel Lazio, definito da molti la locomotiva del Paese, il lavoro è sempre più povero e iperprecario e che lo è soprattutto a Roma. Abbiamo davanti il Pnrr e il Giubileo per cambiare tutto questo. Servono scelte coraggiose per uscire dalla stagnazione e da un modello di sviluppo che non funziona”, conclude il segretario regionale della Cgil.
Di Cola: “La precarietà continua a crescere anno dopo anno a causa delle leggi nazionali sbagliate”
Anche se dal 2009 nel Lazio è aumentata la partecipazione al mercato del lavoro, i numeri ci dicono che le nuove posizioni lavorative sono più precarie e di breve durata, appunto. È per questo che nella Capitale c’è un rapporto molto alto tra contratti stipulati e lavoratori, in particolar modo nel mondo dello spettacolo, con una media di ben 16 contratti l’anno. Un tasso così alto di contratti a termine fa sì che, ovviamente, non siano le dimissioni volontarie o i licenziamenti la causa principale dell’interruzione dei contratti di lavoro, ma la scadenza degli stessi.
Nel Lazio sale il tempo determinato. La metà dei rapporti non è rinnovata
Nella Capitale sono oltre il 50% i contratti cessati a causa della loro scadenza, appena il 25% circa per scelta volontaria e il 15% circa per scelte che non dipendono dalla volontà del lavoratore. Nel 2009, i contratti a tempo determinato, che erano stati attivati, erano l’82% del totale. Un dato che negli anni è andato quasi sempre aumentando fino ad arrivare al 91% nel 2022. L’incidenza del rapporto a tempo indeterminato si è addirittura dimezzata, passando dal 18% al 9%, sia per la diminuzione di questa tipologia di contratti attivata (-700mila dal 2009), sia per l’aumento dei contratti a termine.
Dai dati diffusi da Cgil, si può notare poi come il tempo indeterminato è costantemente in negativo con il risultato che il saldo occupazionale è interamente formato da contratti precari. L’economia del Lazio è una delle più importanti del Paese, all’interno della Regione si registra un aumento dei redditi complessivi dichiarati, e crescono i depositi bancari. Nonostante questo, però, il mondo del lavoro rimane indietro, non riuscendo a beneficiare di tutto questo. Conseguenza? Il precariato che dilaga gravemente lasciando i cittadini con poche certezze e i giovani con poca possibilità di organizzare il proprio futuro. Il problema, si sa, non riguarda però solo la Capitale.
In Europa, infatti, circa un lavoratore su 8 ha un lavoro a tempo determinato. Ma l’Italia, ancora una volta, riesce a registrare uno dei risultati peggiori dell’Eurozona. Secondo alcuni dati Istat, infatti, l’Italia è il Paese europeo in cui l’incidenza dei lavori a tempo determinato è aumentata di più negli ultimi dieci anni, registrando un +3,4% tra il 2013 e il 2022, con un picco di precari nelle regioni del Sud – il 23% degli occupati – contro il 14% al Nord e il 16,3% nelle Regioni del centro Italia.