A Roma il bike sharing è un flop milionario. Le postazioni della Capitale sono abbandonate e disattive da mesi. Quasi tutti i mezzi sono stati rubati o danneggiati irrimediabilmente
di Nicoletta Appignani
Come nel resto d’Europa, anche a Roma doveva cambiare il modo di intendere la mobilità urbana. A cinque anni dal lancio, invece, il bike sharing è un fallimento assoluto. Con un totale di 500 biciclette rubate e 27 postazioni inattive.
Il costo di questo scherzo? Quasi 2 milioni di euro. Quelli spesi tra investimenti e gestione del progetto.
Dalla Spagna alla Capitale
L’idea nasce alla fine del 2007, quando la società spagnola Cemusa, multinazionale della pubblicità esterna, si offre come sponsor e gestore del bike sharing a Roma. Un progetto in via sperimentale, senza alcun onere finanziario per il Campidoglio, che prevede 100 biciclette regalate per iniziare il periodo di prova. Così il Comune di Roma si lancia nell’iniziativa ma già in questa fase iniziano a evidenziarsi i primi problemi: troppo esiguo il numero delle postazioni, collocate per lo più in zone centrali della Capitale, unito alla difficoltà nel reperire le tessere da utilizzare per ritirare le biciclette.
La cessione
Nel 2009 l’incarico viene passato all’Atac, che si ritrova tra le mani una patata bollente senza precedenti: le biciclette nel frattempo sono state quasi tutte rubate e la società deve subito ricomprarne altre 235. A queste se ne aggiungono poi 40 date in gestione dal XIII Municipio e 150 fornite dall’Agenzia per la mobilità.
Ma incredibilmente, su un totale di 525 mezzi, nei magazzini adesso ne sono rimasti soltanto una ventina. Le altre 500 biciclette sono state tutte rubate o danneggiate irrimediabilmente. Il problema? Sono troppo facilmente commerciabili e per impadronirsene basta soltanto avere dimestichezza con un paio di tronchesi. Si potrebbe ovviare al problema rendendo i mezzi più riconoscibili e quindi non riciclabili sul mercato, ma in questo modo, fanno presente i gestori, il costo lieviterebbe a dismisura.
E così, anche se ufficialmente il bike sharing nella Capitale esiste ancora, la sua fine è arrivata nello scorso settembre, quando a disposizione c’erano ancora appena 30 biciclette.
Le piste ciclabili
Mentre a Parigi, capitale leader del bike sharing, circa 20 mila persone pedalano ogni giorno lungo la Senna, a Roma i ciclisti provano a pedalare sotto i muraglioni che costeggiano il Tevere. Possibilmente in primavera o durante l’estate, quando il livello del fiume resta invariato. Sperando che le macchine non siano parcheggiate nei punti di accesso, che il tratto da percorrere sia libero da fango e detriti e augurandosi che nessuno cerchi di rapinarli nel frattempo.
“Più di una volta le persone sono state infastidite – racconta Fausto Bonafaccia, presidente dell’Associazione capitolina “BiciRoma“– in molti ci hanno riferito di avere avuto problemi.
Sgomberato infatti il campo nomadi vicino a Ponte Milvio il problema è rimasto altrove, soprattutto su alcune banchine del Tevere. E migliaia di ciclisti chiedono più sicurezza e cura delle infrastrutture.
Già perché, delle piste ciclabili romane, sono diverse quelle che attraversano punti poco raccomandabili, finiti purtroppo sotto i riflettori della cronaca per altrettante tragedie. Su una pista ciclabile venne assalito e ucciso un ciclista, Luigi Moriccioli, ammazzato solo per rapinargli un ipod nel tratto che corre lungo Tor di Valle. Da allora per fortuna qualcosa è cambiato, ma non abbastanza, a giudicare dai post che su internet affollano i blog e i siti specializzati: persone che si lamentano della mancanza di controlli, della scarsa manutenzione, in generale della poco fruibilità delle piste ciclabili romane. Chi va in bicicletta a Roma insomma, lo fa con un mezzo proprio. E a suo rischio e pericolo.
Milano si scopre ecologista. I colletti bianchi su due ruote
di Alessandro Barcella
Il bike sharing in versione meneghina si chiama “BikeMi”: a gestirlo dal 2008, da un’idea dell’allora Giunta Moratti, “Clear Channel Italia”, azienda leader nella comunicazione pubblicitaria outdoor che si è aggiudicata il bando quindicinale. Un servizio, spiegavano all’Azienda Trasporti Municipale nel 2008, che “non è un semplice noleggio bici ma un vero e proprio sistema di trasporto pubblico da utilizzare per i brevi spostamenti (al massimo 2 ore) insieme ai tradizionali mezzi di trasporto ATM”. “La fase due nell’implementazione di BikeMi – ci spiega il responsabile del progetto italiano di Clear Channel, Sergio Verrecchia – si completerà entro l’estate, con il raggiungimento di 213 stazioni per un totale di circa 4000 bici gialle”. Al momento BikeMi si articola in 180 stazioni, in buona parte all’interno della Cerchia dei Bastioni, che offrono un parco-bici di 3170 esemplari.
Milanesi a due ruote
I dati 2012 mostrano un trend di gradimento in ascesa, con il totale dei prelievi a quota 1.426.682 (il 32% in più rispetto al 2011). Gli abbonamenti annuali, ad oggi, sfiorano quota 21.000. Sono due le modalità attraverso le quali usufruire del servizio: l’abbonamento e il noleggio temporaneo occasionale. L’abbonamento annuale (al costo di 36 euro) è sottoscrivibile unicamente via carta di credito, dopo aver compilato on line la necessaria modulistica. Una volta sottoscritto il contratto e pagato, occorrerà attivare la tessera sul sito internet, Numero Verde o ATM Point. Nel caso di utilizzo occasionale (settimanale o giornaliero) l’utente otterrà un codice da digitare sulla tastiera, presente nelle stazioni di prelievo della bicicletta. Per quanto riguarda l’utilizzo occasionale Atm ha previsto un tetto consecutivo massimo di 2 ore (con prima mezz’ora gratis e in seguito 50 centesimi ogni 30 minuti). I ritardatari verranno penalizzati attraverso una tariffa di 2 euro all’ora o frazione di ora. I “recidivi”, alla terza sforatura nei tempi di riconsegna, potranno vedersi bloccato l’abbonamento.
Il capitolo costi
Clear Channel Italia ha acquistato nel 2008 l’intero sistema (pagato circa 25mila euro a stazione e 650 euro per bicicletta). Una rete poi ricomprata dal Comune di Milano, che ne è oggi a tutti gli effetti proprietaria. Tutte le spese di manutenzione (compresi i servizi di call center) sono interamente a carico dell’azienda, che guadagna dalla pubblicità apposta sui mezzi e alle pensiline di prelievo. La spesa totale annua che Clear Channel deve affrontare per singola bici? Circa 1900 euro, spiegano ancora dall’azienda. Una quota che comprende, inevitabilmente, anche il capitolo vandalismi. Non siamo certo a livello di Parigi (dove nel primo anno di servizio sparirono 3000 bici pubbliche) ma anche Milano fa la sua parte. “La media annua di vandalismi e furti si aggira sul 5.5%”, prosegue Verrecchia. Gli ultimi dati dettagliati in materia sono aggiornati al giugno 2012: furti per quasi 95mila euro e danni complessivi, dal 2008, per quasi 300mila. Ai milanesi piace lasciare il segno, per così dire.
“Giungla” d’asfalto
Resta infine da affrontare il capitolo piste ciclabili, una nota non del tutto favorevole a Milano. La rete cittadina odierna (per interventi sulla quale sono stati spesi circa 20 milioni di euro) conta quasi 145 chilometri di piste dedicate, l’80% su strada in corsie protette o indicate dalla segnaletica e il 20% lungo parchi e aree verdi. Nonostante l’obiettivo dell’Amministrazione sia lodevole e importante, quello cioè di ampliare la rete sino a 240 chilometri entro il 2015, le criticità permangono: “Le piste ciclabili italiane sono isole galleggianti in un mare di traffico motorizzato – spiegano in un recente rapporto Altroconsumo-. E’ dura la vita per la bici a Milano: le piste sono vecchie e a volte in stato di degrado e quando la ciclabile si immette nel flusso veicolare si crea un conflitto, che spesso non è protetto né segnalato”. Si aggiunga il “pericolo” pavè, la storica pavimentazione del centro cittadino fatta di cubetti di porfido, che per molti ciclisti rappresenta un incubo peggiore delle stesse auto. “Registriamo una media di 15/20 incidenti lievi all’anno – conclude Verrecchia -, nessuno per fortuna grave”. Milano, intanto, è la provincia lombarda più a rischio di incidenti per le due ruote.
La bici condivisa a Caserta: un servizio a metà
di Donato Riello
Il servizio di Bike sharing al parcheggio IV novembre (interrato al di sotto del monumento ai caduti), molto pubblicizzato dall’amministrazione comunale, che permette di prendere in prestito una bici in maniera totalmente gratuita lasciando un documento di riconoscimento e compilando un apposito modulo, lascia un po’ perplessi.
La gestione
Partiamo dal principio. Il Bike sharing è un servizio gestito dalla Pubbliservizi (azienda che ha in affidamento anche i parcheggi a raso in città, oltre al parcheggio sotterraneo IV novembre). Nel 2010, sotto la giunta Petteruti, quando l’assessore alla viabilità era Antonio Ciontoli, la Teleservizi – poi divenuta Pubbliservizi – vinse la gara d’appalto per la gestione dei parcheggi.
All’interno del progetto tecnico presentato dall’azienda c’era anche un capitolo dedicato al Bike sharing: l’introduzione del servizio doveva essere utile «per valorizzare aree di parcheggio più periferiche, incentivando in tal modo gli automobilisti a parcheggiare la propria vettura in tali aree e a raggiungere il centro città utilizzando la bicicletta, con conseguenze positive in termini di traffico e ambiente». Erano previste 50 biciclette, messe a disposizione dei cittadini e degli utilizzatori del parcheggio.
Sempre nel testo del progetto si può leggere una descrizione precisa di come doveva essere realizzato il tutto, ed era segnato finanche il numero e la lunghezza delle «barre filettate» da utilizzare per il fissaggio delle rastrelliere. Queste barre, poi, dovevano essere bloccate con «resina molto resistente in fori praticati con il trapano».Ok, stiamo parlando di un progetto tecnico, ma che serva il trapano per fare dei fori lo sa anche un bambino.
Comunque, oltre a una serie di inezie, vengono descritti altri dettagli interessanti per capire come dovrebbe essere oggi il servizio: «per prelevare le biciclette occorre una apposita chiave di sganciamento che si può ottenere presso il punto di prelievo di piazza IV novembre».
Doveva quindi essere preposta una rastrelliera dove sarebbero state agganciate tutte le biciclette disponibili, sganciabili solo grazie a questa fantomatica chiave che doveva essere consegnata al fruitore del servizio.
Il tutto è rimasto solo su carta: all’atto pratico il Bike sharing offerto dalla Pubbliservizi è molto più “casareccio”.
La situazione reale
Le biciclette sono “parcheggiate” in un angolo del parcheggio, e quando c’è qualcuno interessato gliene viene data direttamente una dai dipendenti dopo la compilazione dell’apposito modulo. Durante la nostra ultima visita al parcheggio, però, il servizio non era fruibile a causa della mancanza di biciclette utilizzabili. La manutenzione di queste è a carico dell’azienda appaltatrice: se mancano, quindi, è esclusivamente colpa della Pubbliservizi.
Il Comune, che ha pagato per ricevere i servizi offerti, dovrebbe però pretendere che il tutto funzioni in maniera adeguata. Siamo andati a parlare con l’Ing. Giovanni Natale, responsabile tecnico per quel che riguarda il traffico e la viabilità, per avere delucidazioni.
Tale incontro, però, si è rivelato ben poco utile: l’ingegnere non ha chiarito i nostri dubbi sui motivi per cui la manutenzione delle bici non fosse efficace e veloce. E in più ci ha detto che era impossibile che tutte le biciclette fossero rotte, perché ne vengono utilizzate solo 5 l’anno delle 50 disponibili. Strano. In ogni caso, si informerà.
Il progetto non rispettato
Siamo quindi tornati al parcheggio per capire effettivamente quante biciclette venissero rilasciate ai cittadini. Il numero datoci dagli addetti è infinitamente più alto: oltre 1000 prelievi da aprile 2012 a gennaio 2013, con forti picchi nel periodo estivo. Un servizio abbastanza sfruttato, quindi. Purtroppo, però, molte biciclette tornano con qualche pezzo mancante; lo sappiamo tutti: non c’è rispetto delle cose pubbliche, qui a Caserta. Tra i guasti più frequenti c’è la foratura. Però, questo genere di problemi non dovrebbero neanche sorgere: nel progetto tecnico, infatti, è chiaramente segnata la descrizione delle biciclette da utilizzare, che dovrebbero essere munite di «ruote piene», senza camera d’aria e quindi non soggette a forature. Neanche questo punto, come diversi altri previsti dal progetto dell’affidamento, è stato rispettato. Per esempio, oltre al sistema di ritiro farlocco implementato, le bici dovrebbero essere provviste di «forcella ammortizzata da mountain bike». Dovrebbero.
A sentire gli addetti al servizio, pare che il numero di biciclette disponibili sia molto spesso insufficiente, e parecchie persone rimangono tagliate fuori. La riparazione, inoltre, non è celere come dovrebbe e spesso si rimane per settimane senza bici utilizzabili. Quando ci trovammo al parcheggio due settimane fa, quindi, capitammo in una di queste “settimane franche”. Ora che ci siamo ritornati ne erano disponibili solo 2, e un altro paio erano in giro. Su 50. Il comune è poco attento, pur pubblicizzando intensamente questo servizio. Il progetto della gestione non è stato rispettato, ma nessuno se n’è accorto. Hanno cose più importanti a cui pensare.