La settimana nera di Milano prenderà il via domani. La città medaglia d’oro della Resistenza e capitale della Liberazione sarà infestata per sette giorni da iniziative organizzate da organizzazioni che si richiamano espressamente al fascismo. Si comincerà con la festa del Movimento nazionale Rete dei patrioti per i dieci anni del loro circolo “Freccia nera”, il loro “avamposto in territorio ostile”.
La settimana nera di Milano prenderà il via domani. La città medaglia alla Resistenza infestata da iniziative promosse da organizzazioni che si richiamano espressamente al fascismo
Il presidio si trova in via Palmieri, nel quartiere Stadera, ma che i neofascisti chiamano quartiere 28 ottobre (rigorosamente con numeri romani, loro), data della marcia su Roma, come era stato battezzato quando fu costruito. Ma già allora gli stessi abitanti scelsero di chiamare quel pezzo di estremo sud della città sul Naviglio pavese Baia del Re, opponendosi alla volontà del partito fascista.
Il circolo neofascista “Freccia nera”, che è in pratica un’associazione che guarda a Forza Nuova, è da dieci anni ospite di locali di proprietà dell’Aler, ovvero di Regione Lombardia, a fronte di un canone di affitto che non raggiunge i 100 euro al mese, come denunciato da “Memoria antifascista”. A dispetto di chi crede che sia solo una fissazione della sinistra, il pericolo fascista continua ad esistere. Lo dimostrano non solo alcune pericolose sortite dei componenti del governo di destra che guida il Paese, dalla sostituzione etnica del ministro Francesco Lollobrigida, alla banda musicale di via Rasella del presidente del Senato Ignazio Larussa.
Ma mentre le figure istituzionali cercano di “smacchiarsi” almeno in superficie, i neofascisti milanesi rivendicano orgogliosi il loro dna anche nel lessico, tanto che nell’invito della Rete dei patrioti si legge: “La comunità di Presidio Milano è lieta di invitare tutti i suoi camerati, amici e simpatizzanti a un nuovo evento politico, culturale e militante che renderà il giusto tributo alla sua seconda casa”. Sempre il 22 aprile la formazione neofascista Lealtà e azione manterrà la “tradizione” della manifestazione per commemorare i reduci di Salò sepolti al campo X del Cimitero Maggiore.
“Organizzare una cerimonia in cui abitualmente vengono esposte le bandiere con l’aquila argentea, i drappi neri, e si fa sfoggio del saluto romano, è sempre vergognoso, ma farlo a pochi giorni dal 25 aprile è un’orrenda provocazione”, dice Giulia Pelucchi, presidente del Municipio 8, “nessuno vuole negare la pietà ai morti, ma questo non vuol dire dimenticare cosa fecero da vivi, non vuol dire tollerare l’apologia del fascismo. Per questo chiediamo alla Prefettura e Questura di non autorizzare tale manifestazione a ridosso della Festa nazionale della Liberazione”.
“Resta alle antifasciste e agli antifascisti mobilitarsi ed essere in piazza alle ore 17 in Porta Venezia, il 29 aprile per difendere la memoria della Resistenza dagli attacchi mossi continuamente dal Governo che sta tentando senza alcun pudore di riscrivere e falsificare la storia” è l’appello di Valter Boscarello di Memoria antifascista.Lo stesso 29 aprile, in piazzale Gorini, zona Città Studi, ci sarà alle 20 una manifestazione per i “camerati” Sergio Ramelli, Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi. Lo scorso anno era arrivata una protesta formale dell’Anpi: “è inaccettabile che il 29 aprile si svolga un corteo di estrema destra in ricordo di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani” visto che “negli anni trascorsi la manifestazione si è sempre caratterizzata con la esibizione di croci celtiche, saluti romani, chiamata del presente, con un forte richiamo nostalgico al passato militare e razzista del regime fascista”, furono le parole del presidente milanese dell’Anpi Roberto Cenati.
Il 29 aprile dei nostalgici di estrema destra ha sempre seguito una sua ritualità: prima l’omaggio dei camerati davanti alla targa per Ramelli (militante del Fronte della Gioventù, ucciso nel 1975), dove si alzano le braccia nel saluto romano, poi un corteo per toccare gli altri luoghi, quelli dove sono stati uccisi Pedenovi (1976) e Borsani (1945). Ma c’è anche un fronte istituzionale, con la partecipazione del sindaco Sala e di altre autorità.
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